OROVILLE (CALIFORNIA, USA) − Nei giorni passati è giunta d’oltreoceano una notizia che ha monopolizzato l’attenzione del globo: l’apertura di una crepa nello scarico d’emergenza della diga d’Oroville, peraltro poco dopo una prima spaccatura, creatasi nell’impianto principale. La più alta diga degli USA, secondo quanto riporta Focus, sarebbe stata gravemente compromessa e circa 200.000 persone sono state evacuate in un primo momento per l’elevato rischio di tracollo della struttura, per poi essere fatte rientrare nelle loro abitazioni: l’allarme comunque resta vivo. L’apertura del canale secondario significherebbe la totale inondazione delle zone limitrofe alla diga, città e superstrade comprese. L’opera idraulica è alta circa 234 metri e la sua costruzione fu iniziata nel 1962 e finita nel 1968: è la principale fonte d’acqua per tantissimi agricoltori californiani che, tra l’altro, hanno dovuto affrontare asperrime siccità nell’ultimo lustro e che sono riusciti a superare proprio grazie alla diga di Oroville, il cui tracollo, inoltre, inciderebbe anche sul settore primario locale. Sadica sorte ha voluto che, dopo 5 anni di aridità, la California del sud è stata “attaccata” da forti piogge e nevicate, le quali hanno contribuito a riempire l’impianto del +151%, secondo quanto stima Focus.
E come si ottempera al problema dell’eccesso d’acqua? Tramite un canale in calcestruzzo che serve a contenere l’acqua che la portata normale del bacino artificiale non riuscirebbe a racchiudere. Le autorità del settore hanno scelto di ricorrere allo sfioratore secondario, visto che nel principale, il quale far defluire 425.000 l/s, il 7 febbraio le violente piogge avevano aperto una voragine di 91 m. Eppure il canale secondario non veniva utilizzato da ben mezzo secolo, così l’ingente quantità di acqua defluita da quest’ultimo ha creato una serie di crepe molto profonde nel terreno. Se la barriera in cima allo sfioratore ausiliare (9 m) dovesse crollare, tutta l’acqua (più i detriti che nascerebbero dal crollo) si riverserebbe nel fiume Feather (dove, di norma, scarica la diga) facendolo esondare.
Naturalmente già diversi esperti di ogni settore competente si sono mossi per provare a evitare quello che sarebbe un immane disastro idrogeologico: esperti e manager della struttura hanno esaminato nel fine settimana passato il canale principale, notando (con un lieve entusiasmo) che la diga poteva ancora reggere, tuttavia hanno comunque scaricato ingenti quantità d’acqua nel canale principale ai fini di alleggerire la struttura (già compromessa di per sé. Squadriglie di elicotteri, inoltre, hanno provveduto a rafforzare il bacino di Oroville scaricando centinaia di sacchi pieni di pietre. Ciò che affligge tutti gli addetti ai lavori è una sola domanda: reggerà pure il canale secondario in caso di un ulteriore aumento delle precipitazioni? Certamente la situazione sopra citata ha riportato alla luce del sole un grande problema degli Stati Uniti: la manutenzione delle dighe, la cui maggior parte, essendo stata costruita a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, non rispetta gli attuali standard di sicurezza ed è perennemente in pericolo anche alla luce dei repentini cambiamenti climatici. Eppure ben 12 anni fa più organizzazioni per l’ambiente avevano già avvertito le autorità competenti di tali rischi, soprattutto in merito al canale ausiliare di Oroville.
Francesco Raguni
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