Qualche giorno fa, è stato accolto il ricorso di un avvocato di Treviso, Andrea Nalesso: la decisione pilota potrebbe fare giurisprudenza per moltissimi altri casi. Precisamente, l’Avv. Nalesso era stato multato per aver superato di 7 chilometri orari il limite di velocità sulla tangenziale della città, che è di 90 chilometri orari. Il ricorso era stato presentato impugnando una multa per eccesso di velocità, perché l’autovelox era “approvato”, ma non “omologato”. Si specifica, in merito all’autovelox, che il marchio era registrato di un’azienda fiorentina, la Sodi (con cui in Italia vengono chiamati comunemente tutti i rilevatori, che negli altri paesi vengono chiamati semplicemente radar). La Corte di Cassazione ha annullato la sanzione perché certificata da un’apparecchiatura autorizzata dal ministero delle Infrastrutture ma non sottoposte a una verifica più puntuale necessaria per la loro omologazione. Dunque, la Suprema corte pur pronunciandosi sul caso singolo ha fissato un principio di diritto importante, che potrebbe innescare ulteriori ricorsi per tutti i casi analoghi. La rilevanza emerge soprattutto se pensiamo che attualmente la maggioranza dei dispositivi non hanno ottenuto l’omologazione, in Italia. Inoltre, l’Italia è il paese europeo con il maggior numero di autovelox. Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2021 erano attivi 14.297 sistemi di rilevamento della velocità tra fissi e mobili, sistemi Tutor (cioè che misurano i tempi di percorrenza tra un punto e un altro in autostrada) e telecamere posizionate su semafori o incroci. Negli ultimi tre anni i rilevatori sono aumentati del 40 per cento. Il 76 per cento è al Nord, con una prevalenza in Veneto, seguita da Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna.
La pronuncia in esame assume notevole rilevanza perché, nonostante nel nostro ordinamento non sussista l’obbligo di conformarsi al precedente giudiziale (come invece accade negli U.S.A. ad esempio), le sentenze della Cassazione hanno un ruolo importante nell’interpretazione delle leggi (detto nomofilattico), e vengono spesso usate dai giudici come orientamento per decidere su altri casi simili. In particolare, i giudici di pace, che sono gli organi di primo grado nel caso di ricorsi presentati da automobilisti, potrebbero basarsi sulla sentenza della Cassazione per annullare le multe in tutti i casi in cui gli autovelox fossero approvati ma non omologati. Nello specifico, analizzando la pronuncia, la Corte di Cassazione ha chiarito la distinzione tra approvazione ministeriale e omologazione sottolineando come entrambi siano indispensabili per l’utilizzo secondo legge dei rilevatori di velocità. Entrambe le certificazioni sono necessarie affinché le multe siano valide. Risulta evidente l’importanza della sentenza, dal momento che, come si è anticipato, la maggioranza dei dispositivi non hanno ottenuto l’omologazione (fonti dello stesso Ministero dei Trasporti). Dunque, è evidente che ciò aprirebbe la via ai ricorsi dei conducenti, a condizione però che non abbiano già versato la sanzione, circostanza che renderebbe la controversia ormai perfezionata, e che non siano scaduti i termini per presentare opposizione. Si sottolinea, inoltre, che questa sentenza sovverta una storica interpretazione ripresa dalla circolare n. 8176/2020 del Ministero dei Trasporti, che aveva assimilato l’approvazione all’omologazione.
Il modo corretto di interpretare l’omologazione e approvazione degli autovelox è da anni al centro di un dibattito che coinvolge la giurisprudenza. Secondo i giudici, i termini indicano due procedure differenti. Secondo il Ministero dei Trasporti, invece, i termini indicherebbero la medesima procedura. La causa del contrasto è da rinvenire nella formulazione del Regolamento d’attuazione del codice della strada: da un’attenta lettura, emerge come sia poco chiara, a tal punto da non consentire di distinguere fra le due procedure, che vengono quindi intese in maniere diverse a seconda delle necessità. Più precisamente, le parole “omologazione” e “approvazione” compaiono nell’art. 192 del Regolamento, che viene citato in tutte le sentenze relative ai ricorsi presentati da automobilisti multati per eccesso di velocità. L’omologazione è una procedura di competenza del Ministero per lo Sviluppo economico, che prevede che l’autovelox venga testato in laboratorio per accertare la presenza di alcune caratteristiche fondamentali previste dal Regolamento, mentre la procedura di autorizzazione, stando all’interpretazione della giurisprudenza più diffusa, riguarda la verifica di elementi che non sono esplicitamente indicati nel Regolamento: mentre l’approvazione è di competenza del ministero dei Trasporti, non è chiaro chi debba effettivamente svolgere la procedura di omologazione. Il Decreto legislativo n. 285/1992, la principale norma di riferimento per la circolazione stradale, stabiliva che i dispositivi per il controllo della velocità, come gli autovelox, dovessero essere «soggetti all’approvazione od omologazione da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti». Nel 2015 però una sentenza della Corte Costituzionale stabilì che il Decreto fosse incostituzionale, perché non prevedeva esplicitamente che tutte le «apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità» fossero sottoposte a «verifiche periodiche di funzionalità e taratura». Dato che il sistema nazionale di taratura è di competenza del Ministero dello Sviluppo Economico, lo stesso Ministero sostiene che debba esserlo anche la procedura di omologazione degli autovelox. Nel 2020, il Ministero dei Trasporti aveva diffuso una circolare, in cui spiegava che le procedure di approvazione e di omologazione dei dispositivi di rilevamento automatico sono equivalenti e che gli autovelox approvati ma non omologati possono essere utilizzati per accertare violazioni di velocità. Questo perché, spiegava il ministero, l’art. 192 del Regolamento di esecuzione, al comma 1, dice che «Ogni volta che nel codice e nel presente regolamento è prevista la omologazione o la approvazione…». Secondo il ministero questa formulazione indicherebbe «la perfetta equivalenza dei due termini». La giurisprudenza sostiene invece che vi sia una chiara distinzione tra le due procedure. Per esempio, una sentenza del 2019 emessa dal Giudice di Pace milanese diceva: «Vi è una distinzione chiara e netta tra l’omologazione e l’approvazione dei dispositivi elettronici, non tanto sulla procedura, quanto sulla finalità perseguita: nel caso dell’approvazione, il Legislatore ha richiesto vincoli meno stringenti per accertamenti che richiedono una minor precisione; nel caso dell’omologazione, vincoli più forti di rispondenza a determinate caratteristiche e prescrizioni, poste, evidentemente, nell’interesse della collettività, a presidio della garanzia del diritto di difesa (dei cittadini). Pertanto, la sua mancanza si traduce in un vulnus alle garanzie dei cittadini che subiscono gli accertamenti». Questo principio era stato poi confermato da altre due sentenze, una del giudice di pace di Padova e una del giudice di pace di Treviso, ed è stato ripreso anche dalla Cassazione con questa sentenza del 2024.
Stefania Piva
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È nata e vive a Milano. È Avvocato, laureata in giurisprudenza all’Università Statale di Milano, ha svolto la pratica forense presso l’Avvocatura dello Stato di Brescia, e si è specializzata presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell’Università Statale di Milano. Da sempre appassionata di politica e giornalismo, ha scritto in precedenza per il giornale locale ABC Milano.