Nella notte del 4 aprile la statua di Indro Montanelli, nei giardini pubblici di Porta Venezia a Milano, è stata nuovamente imbrattata con della vernice viola. La vernice è stata versata sulla testa della statua di Montanelli, arrivando a macchiarne anche le mani e il busto. Non è la prima volta che la statua dello scrittore e giornalista è oggetto di questi atti. Nello specifico, tali atti hanno avuto origine nel 2012, quando venne fatto trovare un finto ordigno esplosivo sotto la testa di Montanelli, e la scultura venne macchiata con della vernice rossa. Inoltre, nel 2019, due attiviste lanciarono della vernice lavabile rosa, e furono assolte dal reato di deturpamento ed imbrattamento di cose altrui, di cui all’art. 639 del codice penale, poiché il fatto era stato giudicato di particolare tenuità. Ancora più recentemente, nel 2020, altri attivisti imbrattarono la scultura con vernice rossa.
Le vicende di imbrattamento sono da ricollegarsi alle rimostranze suscitate dalla controversa figura di Indro Montanelli. In particolare, vi è scontro fra chi considera il giornalista un pilastro della storia culturale italiana contemporanea e ritiene che non ci si possa opporre alla celebrazione di un professionista, e chi, pur riconoscendo il professionista Montanelli, sottolinea la sua vicinanza al fascismo, ed inoltre che il comprare una bambina abissina di 12 anni, sposarla e averci rapporti sessuali fosse ingiustificabile anche nel 1930 (epoca dei fatti), e che dunque oggi sia giusto che la memoria del grande Montanelli rimanga in tutta la sua grandezza, ma senza una statua. Più precisamente, l’episodio aveva avuto luogo nel 1969, durante un programma televisivo: Indro Montanelli raccontò della propria esperienza in Etiopia, durante la quale aveva comprato e sposato la ragazzina dell’età di 12 anni. La scrittrice e giornalista Elvira Banotti intervenne, e gli chiese come intendesse il proprio rapporto con le donne dal momento che in Europa il matrimonio con una bambina di 12 anni è considerato violenza. Alla domanda Montanelli rispose: «in Abissinia funziona così», suscitando indignazione. Nello specifico, Montanelli si riferiva alla pratica del madamato: era una relazione temporanea more uxorio di cittadini italiani con donne locali, spesso bambine tra gli 8 e i 12 anni, all’epoca legale nelle colonie italiane. Riguardo alla ragazzina (di nome Destà) Montanelli affermò: «Faticai molto a superare il suo odore, dovuto al sego di capra di cui erano intrisi i suoi capelli, e ancor di più a stabilire con lei un rapporto sessuale perché era fin dalla nascita infibulata: il che, oltre a opporre ai miei desideri una barriera pressoché insormontabile (ci volle, per demolirla, il brutale intervento della madre), la rendeva del tutto insensibile».
Al di là delle opinioni personali su Indro Montanelli, le conseguenze penali dell’azione messa in atto meritano attenzione, alla luce del fatto che la rimozione della vernice e la pulizia della statua rappresentano un costo che grava sul Comune, e quindi su tutti i cittadini. Infatti, l’art. 639 del codice penale prevede che chi imbratta o deturpa cose mobili altrui sia punito con la multa fino a 309 euro; inoltre, si specifica che per poter perseguire il reato, sia necessaria una denuncia-querela della parte lesa (in questo caso, l’amministrazione comunale). Sono previste delle aggravanti: nel caso in cui il reato sia stato commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati, si applica la pena della reclusione da uno a sei mesi, nonché la multa da 300 a 1.000 euro. Anche nel caso in cui il fatto sia commesso a danno di teche, custodie e altre strutture adibite all’esposizione, protezione e conservazione di beni culturali esposti in musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico, si applica l’aggravante, e dunque la pena predetta. Nel caso in cui l’autore dell’atto vandalico abbia già commesso il reato (dunque sia recidivo), si applica una pena maggiore: la reclusione da tre mesi a due anni e la multa fino a 10.000 euro. Altro aspetto importante e meritevole di menzione è quello previsto dall’ultimo comma dell’articolo, che mira anche a responsabilizzare gli autori di questi fatti: con la sentenza di condanna, il giudice può disporre l’obbligo di ripristino e di ripulitura dei luoghi ovvero, qualora ciò non sia possibile, l’obbligo di sostenerne le spese o di rimborsare quelle a tal fine sostenute, ovvero, se il condannato non si oppone, la prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa.
Stefania Piva
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È nata e vive a Milano. È Avvocato, laureata in giurisprudenza all’Università Statale di Milano, ha svolto la pratica forense presso l’Avvocatura dello Stato di Brescia, e si è specializzata presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell’Università Statale di Milano. Da sempre appassionata di politica e giornalismo, ha scritto in precedenza per il giornale locale ABC Milano.