La polemica ormai è nota: quasi tutti i quotidiani online dello Stivale, incluso Voci di Città, si sono espressi in merito a partire da mercoledì scorso. Pare che alcune scuole inglesi, nel momento in cui hanno richiesto la compilazione di un form per l’iscrizione degli allievi, abbiano chiesto di indicare come opzioni separate la provenienza nel caso di italiani (generico), italiani-napoletani e italiani-siciliani. Da qui, un collettivo movimento di indignazione e di protesta, scarsamente incline ad accettare una simile distinzione e preoccupato di potenziali discriminazioni dalle sfumature quasi razziste, spesso dalla stessa parte di chi non tarda un attimo a formulare rapidi e severi giudizi (e pregiudizi) sugli stranieri sopraggiunti in Italia.
Lì per lì non sono mancati i commenti forti da parte della comunità giornalistica e politica del Belpaese. «In tanti, dopo l’estemporanea iniziativa degli uffici pubblici inglesi del dopo “Brexit”, ancora si chiedono se si tratta di una forma di sondaggio voluto proprio per evitare che vi siano discriminazioni o una paurosa gaffe etica», aveva commentato giorni fa Il Messaggero, che per primo aveva contribuito a diffondere la notizia. Più netta la posizione firmata Il Sole 24 Ore, secondo cui si sarebbe trattato di «moduli che in uno sbalzo di creatività s’inventano italiani-napoletani e italiani-siciliani», e quella de Il Giornale che ha denunciato: «Londra isola i bambini italiani».
Non si sono fatte attendere nemmeno la visione de Il Corriere della Sera, stando al quale a scatenare l’episodio «più semplicemente, forse, è solo scarsa o nulla conoscenza della storia da parte di chi rivendica il suo glorioso passato imperiale. Insomma, discriminazione per ignoranza», e un interrogativo de La Repubblica circa il fatto che «l’iniziativa per stabilire la provenienza etnica» degli scolari sia probabilmente da imputare a «qualche funzionario britannico animato dallo spirito di “Brexit”». Ironico, invece, il commento apparso su La Stampa: «in realtà mancavano soltanto il ritratto del Padrino e un piatto di spaghetti accanto alle scritte per rendere ancora più chiaro il tentativo “a fin di bene” di non discriminare».
Lo stesso Davide Faraone, sottosegretario all’Istruzione, ha dichiarato a Adkronos: «Da uomo del sud, ma soprattutto da italiano e da europeo, sono indignato. Trovo inaccettabili gli episodi che si sono verificati negli ultimi giorni in Gran Bretagna, frutto evidente di ignoranza rispetto a tutto ciò che è diverso, proveniente da altro Paese, appartenente a un’altra cultura. E non ci sono giustificazioni o scuse che tengano, né buona fede, né effetto “Brexit”, né puntiglio e precisione anglosassone. Troppo spesso gli italiani si sono trovati costretti ad affrontare stereotipi e pregiudizi che combattiamo perfino dentro i confini nazionali. L’intollerabile distinzione fra gruppi linguistici non rende giustizia a un Paese dalla storia e dalla cultura così grandi come il Regno Unito che pare, in questo caso, operare una sorta di ghettizzazione dei meridionali, considerati alla stregua di un popolo separato».
Nel frattempo, l’ambasciatore italiano a Londra ha chiesto formali scuse al Foreign Office sottolineando che «siamo un Paese unificato dal 1861» e ha ricevuto risposta positiva quasi nell’immediato, si può supporre nel tentativo di evitare uno scatenamento ulteriore su Internet. Eppure, l’apparente incidente diplomatico, dopo accurate analisi reperibili in gran parte nel portale Valigiablu, non si è rivelato corrispondere esattamente alla versione proposta da numerose penne affermate e interpretata da gran parte della Nazione. La verità, infatti, è che il menu a tendina, proposto agli iscritti delle scuole interessate e apparso quasi ovunque, ha dato il via a un vero e proprio «cortocircuito ideologico e mediatico», come lo ha definito Stefano Basilico su Il Foglio, a proposito del quale poche redazioni si sono informate personalmente e in maniera più approfondita sull’accaduto.
La prima smentita necessaria riguarda quindi la natura della richiesta scolastica: ad essere presa in considerazione non era né la provenienza geografica né tantomeno l’etnia degli studenti, quanto piuttosto la loro lingua madre. Paolo Attivissimo, pertanto, sul proprio blog ha evidenziato un’errata traduzione delle opzioni proposte nell’atto di essere rese note al pubblico italiano: visionando i file in PDF proposti dagli istituti è possibile controllare, infatti, che si faceva riferimento alla prima lingua parlata da parte dei ragazzini in entrata.
Ulteriore considerazione da non sottovalutare: i ragazzini italiani non sono stati affatto i soli implicati nella scelta variabile. Per chi veniva dal Regno Unito, per esempio, le possibilità selezionabili oltre all’inglese erano: «Cornish, Gaelic, Scots, Welish». Capire quale fosse la parlata più usata da ciascuno nella vita quotidiana, scelta fra una rosa sconfinata di alternative che dunque includono – giustamente – anche i dialetti e le lingue minoritarie, avrebbe aiutato a capirne anche le esigenze, il background culturale e le necessità didattiche e linguistiche successive all’iscrizione scolastica.
Infine, è bene sapere che la trovata non risale affatto al post-Brexit e che, di conseguenza, non dipende dall’allontanamento della Gran Bretagna dall’Unione Europea e da una volontà di “schedare” minuziosamente e ingiustamente i propri pupilli. La categorizzazione, in realtà, è entrata in vigore ben 12 anni fa, nel 2004, con l’intento di rispettare – e non di differenziare in negativo, com’era stato sospettato – le diverse provenienze e gli idiomi di volta in volta capiti con più facilità dagli studenti, con lo scopo di favorirne l’integrazione, la comprensione durante le lezioni e la buona comunicazione nella comunità.
Una volta appurata la verità dei fatti, dovrebbe essere dovere morale di giornali, personaggi pubblici e terzi commentatori modificare la propria posizione in merito e, quando concesso, le parole con cui è stato fatto fare il giro del Paese a una notizia non del tutto fedele alla realtà. La Repubblica, per esempio, ha prontamente modificato il proprio pezzo sull’episodio, mantenendo la versione precedente consultabile su Archive.is; Voci di Città, invece, ha proposto una nuova news sulla vicenda, per consentire una visione d’insieme migliore dell’intera circostanza. Per il resto, si attendono ancora le smentite da parte delle numerose fonti ufficiali che si erano prodigate in considerazioni forti e schierate all’inizio e che, adesso, dovrebbero forse rivolgere qualche scusa al già menzionato Foreign Office e non solo. Ambasciatore italiano a Londra incluso.
Eva Luna Mascolino
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