Open Homes Rifugiati: il nuovo esperimento sociale lanciato da AirBnb. A Milano sarà possibile aprire le porte di casa propria agli immigrati senza dimora che arrivano nel nostro Paese. Ammirevole iniziativa o finto buonismo? Il caso ha sollevato diverse polemiche.
MILANO – L’americana Airbnb, società leader mondiale nel settore dell’ospitalità, ha recentemente dato vita ad un progetto: l’Open Homes Rifugiati. In collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio e l’associazione Refugees Welcom Italia, è stato creato un portale dedicato a tutti i milanesi che vogliano aprire le porte della propria casa per accogliere, in modo temporaneo, sfollati e immigrati. Basteranno pochi click per mettere a disposizione la propria casa, creando un annuncio a costo zero. Il nuovo servizio metterà in contatto gli host di Airbnb disponibili a offrire gratuitamente una sistemazione ai rifugiati con le due associazioni, le quali potranno verificare sul sito la disponibilità di posti letto, prenotandoli. L’idea, che ha Milano come città pilota, nacque nel 2012, quando, dopo l’uragano Sandy negli Usa, molti utenti offrirono spontaneamente le proprie case gratis.
L’iniziativa, come prevedibile, ha sollevato una serie di polemiche. Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, ci vede del razzismo nei confronti degli italiani. Sul suo profilo Facebook, Meloni commenta: «Mi chiedo e vi chiedo: ma perché questa meritevole iniziativa di solidarietà non è rivolta anche ai tantissimi italiani in difficoltà? Perché rifugiati e richiedenti asilo vengono prima dei senzatetto, degli sfrattati, dei terremotati, delle ragazze madri e dei padri separati italiani? Siamo alle solite: la sinistra e il grande capitale preferiscono aiutare tutti, tranne gli italiani». Siamo alle solite, già. Scenari Economici, noto portale online controcorrente, descrive questa iniziativa come una possibile copertura per permettere, qualora l’emergenza migranti diventasse ingestibile, il sequestro delle case sfitte milanesi e italiane, come già avvenuto in Germania.
Patrizia Ottolini ha raccontato perché ha deciso di aprire la sua casa per ospitare migranti e sfollati. Si definisce «la mamma di un migrante», perché suo figlio designer in Italia non trovava lavoro e si è dovuto trasferire prima a Londra, poi a Stoccolma, per trovare un’occupazione. Per questo motivo. crede sia fondamentale aiutare giovani ragazzi, di qualsiasi provenienza, a costruirsi un futuro dignitoso. Dello stesso parere sono anche Lucia Chessa, ex direttrice editoriale in carriera, la quale si trova a vivere in una casa troppo grande e spaziosa per una sola persona. «Queste persone stanno facendo un percorso, averli in famiglia arricchirà me e loro» – ha dichiarato. L’unica preoccupazione è l’aspetto burocratico, come racconta Alessandro Cinali, un altro host che ha aderito al progetto: «Con la mia compagna abbiamo deciso di non tirarci indietro. Contiamo sul sostegno anche del Comune. Spero che ci aiuti a gestire la parte burocratica dell’iniziativa. Per il resto, sono pronto a condividere tutto quello che ho».
Tra reale spirito di solidarietà e finto buonismo. questa volta il confine è davvero sottile. Ciò che conta. però, è che qualcosa si sta muovendo, anche se partendo dal basso. Sono associazioni e cittadini che decideranno come gestire questo esperimento. Alla nostra classe dirigente non resta altro che rimanere a guardare gli sviluppi dell’ennesima vicenda, la quale è stata trasformata in una situazione di comodo per fare propaganda, sia da un lato che dall’altro. Per adesso non sappiamo ancora chi avrà ragione e non rimane che attendere, e perché no, provare l’esperienza sulla propria pelle, diventando ospitanti.
Sara Forni
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