Nei giorni scorsi Amnesty International avrebbe richiesto a Regno Unito, Nigeria e Paesi Bassi di aprire un’indagine nei confronti della multinazionale olandese Shell, sospettata di gravi violazioni dei diritti umani ai danni di civili nigeriani durante gli anni Novanta. Secondo l’Ong internazionale, Shell avrebbe adottato il ruolo di complice nei confronti delle violenze perpetrate dall’esercito nigeriano sui suoi cittadini durante quegli anni per tutelare i propri interessi economici. A riportare la notizia per primo sulle testate internazionali è il quotidiano britannico The Guardian, secondo il quale le accuse sarebbero di complicità in “omicidio, stupro, tortura”.
Come rivelato da The Post Internazionale, le pesanti accuse rivolte alla multinazionale sarebbero avallate da numerose testimonianze e documenti aziendali resi pubblici sul sito di Amnesty lo scorso 28 novembre. Queste prove metterebbero in luce le responsabilità di Shell nella repressione delle manifestazioni nella regione dell’Ogoniland, sul Delta del Niger, che il colosso petrolifero aveva acquisito ed iniziato a trivellare dal 1958. Secondo i dati raccolti, negli scontri con le milizie nigeriane persero la vita oltre mille persone e altrettante 30mila furono costrette ad abbandonare le proprie abitazioni. All’epoca a capo del Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni (Mosop) vi era l’attivista e scrittore Ken Saro-Wiwa, impegnato nella lotta per l’autonomia politica ed economica della popolazione indigena di quelle terre.
Saro-Wiwa voleva maggiori tutele per la sua gente, quotidianamente esposta a potenziali disastri ecologici dovuti agli invasivi siti di estrazione costruiti dal colosso olandese. Se a partire dal 1993 Shell aveva iniziato a ritirarsi dalla regione per la presenza di gravi minacce alla sua sicurezza, Saro-Wiwa fu giustiziato due anni dopo nel momento di massima repressione da parte del governo nigeriano nei confronti degli Ogoni. I documenti pubblicati da Amnesty testimonierebbero fra le altre cose diversi tentativi di riavvio delle estrazioni nella regione e di repressione delle proteste. Per Amnesty la multinazionale non solo avrebbe fornito il suo supporto all’esercito in più occasioni, ma avrebbe anche pagato in alcuni casi direttamente dei miliziani per non aver rispetto dei diritti umani.
Sebbene in realtà buona parte dei documenti diffusi fossero già stati resi noti, per la direttrice dei temi globali di Amnesty International, Audrey Gaughran, le prove sarebbero più che sufficienti per aprire un’indagine ai danni di Shell. In particolare fra le prove spiccano alcune dichiarazioni che dimostrerebbero come Shell abbia arruolato dei poliziotti sotto copertura, affiliati alle forze di sicurezza nigeriane, per sorvegliare e riferire ogni attività in Ogoniland, a partire dall’annuncio del ritiro della compagnia dal territorio. Il colosso olandese sarebbe stato pertanto coinvolto non poco nelle operazioni condotte dall’esercito nigeriano nelle repressioni della comunità, essendo perfettamente al corrente dei crimini perpetrati. Nonostante i fatti risalgano ormai a più di vent’anni fa, per Amnesty International è giunto il momento di avere giustizia per il popolo Ogoni: una volta raccolte e pubblicate le prove, adesso verrà redatto il fascicolo penale da inviare a tutte le autorità penali. Shell ha sempre respinto le accuse dichiarando che le forze armate inviate nei suoi territori sono sempre state inviate al fine di tutelare e proteggere il suo personale lavoratore e le strutture.
Diana Avendaño Grassini
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