ISTANBUL – Istanbul è per antonomasia il crocevia milionario di molteplici culture e rappresenta una sottilissima linea che divide la civiltà occidentale da quella orientale. Dal canto suo, Orhan Pamuk è senza dubbio una di quelle “penne” in grado di descrivere perfettamente con l’inchiostro sensazioni, profumi, sapori e colori dell’antica Costantinopoli. Le storie raccontate nelle sue opere tracciano lo spaccato reale di una città che, negli ultimi quarant’anni, ha subito numerosi cambiamenti, tra i conflitti politico-sociali e una significativa espansione urbana. Con il trascorrere del tempo, infatti, gli edifici con cui è stata assemblata la metropoli moderna si sono affiancati alle caratteristiche costruzioni che hanno donato splendore e magnificenza alla gloriosa capitale dell’ex impero ottomano.
Nel 2006, in virtù dell’ottenuto Premio Nobel per la letteratura, lo scrittore turco ha assaporato il gusto della popolarità, a tal punto che da interprete autorevole dell’identità di un popolo si è trasformato nel portavoce che deve sorreggere continuamente il peso di determinate parole. Nel suo ultimo romanzo, dal titolo La stranezza che ho nella testa ed edito in Italia da Einaudi, per esempio, la trasformazione di Istanbul si percepisce attraverso gli occhi del protagonista: Mevlut, umile venditore di yogurt e boza, e spettatore inerte della “metamorfosi” del luogo.
Gabriele Mirabella
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