KENYA – Nella regione centrale del Paese è locato un villaggio riservato alle sole donne (la presenza degli uomini è infatti strettamente limitata). Non si tratta di donne comuni, ma di vittime di una società dove la vita le ha intrappolate: violenze sessuali, matrimoni forzati e/o mutilazioni genitali. Il villaggio si chiama Umoja e si trova nella provincia di Samburu; fu fondato intorno al 1990 per dare manforte e una nuova casa alle donne stuprate dai soldati britannici. Ad oggi vi vivono circa 47 donne: una di loro si chiama Jane, ha 38 anni ed è arrivata nella comunità dopo aver subito un attacco, mentre pascolava il gregge del marito, da parte di tre soldati. Le hanno fatto «cose terribili» che era costretta a tenersi dentro fino alla morte; non poteva confessare lo stupro alla famiglia in quanto tale atto per le popolazioni locali è motivo di vergogna. «Quando mia suocera ha raccontato a mio marito dello stupro, lui mi ha picchiata con un bastone. Allora sono scappata e sono venuta qui insieme a mio figlio». La donna in questione ha come ricordo della violenza una cicatrice derivante da una ferita che i soldati le fecero il giorno del misfatto. Jane è venuta a conoscenza del villaggio, come chiunque altro, tramite il passaparola.
A Umoja vigono due norme fondamentali: non ci sono uomini e per entrare si deve pagare una tassa meramente simbolica. Oggi Jane lavora cooperando con le sue compagne Samburu, popolo indigeno semi-nomade a cui appartengono le donne residenti nel villaggio in questione e dal quale prende il nome la provincia. I loro capi d’abbigliamento sono vestiti tipici della tribù stessa: gonne ricche di disegni, mantelle tradizionali (kanga), collane fatte di perle variopinte. Oltre ai grandi orecchini, esse tengono i capelli molto corti. Caratteristica loro è anche il canto. La maggior parte di queste donne produce gioielli da vendere ai turisti, le “leader” di Umoja invece hanno in gestione un campeggio vicino al fiume Uaso, accanto al parco naturale di Samburu. Diversi turisti scelgono, però, di fare una piccola tappa nel “villaggio delle donne” e comprare qualche gioiello. Sono questi guadagni a dare indipendenza alla comunità di Jane e compagne. «Quando un turista compra le mie perline sono così orgogliosa. Qui ho imparato a fare cose che normalmente ci sono vietate»: queste sono le parole rilasciate da Nagusti, donna di mezza età con cinque figli, al The Guardian. La cultura Samburu preclude al mondo femminile la politica interna: esse, infatti, sono solite sedere esternamente a un cerchio composto da soli uomini; quasi mai, appunto, queste donne possono dare la propria opinione. A Umoja, però, è tutta un’altra musica: “L’albero della parola” (“The tree of speech”) è il luogo dove tutte si riuniscono, prendono decisioni e parlano senza alcun timore delle violenze subite.
Esordisce con una battuta invece Memusi: «Loro lo mettono dentro di te, non è così?». L’argomento celato dall’ironia è solo uno: la presenza inglese era copiosa nella Nazione e gli stupri per mano dei soldati britannici, nonostante l’attuale indipendenza del Kenya, erano numerosi. Le donne erano, appunto, le vittime preferite dei soldati. Le più sciagurate erano senza dubbio le non sposate: infatti, dopo uno stupro nessuno le avrebbe mai prese con sé in moglie. Singolare fu, nel 2003, la denuncia di 30 anni di violenze da parte di un gruppo di donne a uno studio legale inglese specializzato in diritti umani, il Leigh Day. Il ricorso fu presentato al Royal Military Police, l’istituzione dell’esercito britannico competente in materia di responsabilità di militari in servizio, e ad esso vennero allegate le prove delle nefandezze subite (report medici e della polizia locale). Eppure l’ R.M.P. ha sempre negato tutto, dichiarando, a sostegno della sua tesi, che il DNA dei bambini nati dopo le “presunte” violenze non poteva essere verificato effettivamente in quanto in quei 30 anni, vivevano in Kenya tra i 65 e i 100 mila soldati. La documentazione è stata poi fatta sparire e nonostante il caso sia ancora aperto, uno degli avvocati dello studio, Martyn Dairy, ha spiegato come sia praticamente impossibile rilanciare il tutto senza quel fascicolo.
Le donne violentate, comunque, non rinunciano ai rapporti sessuali: avere un figlio è fondamentale nella cultura Samburu. Grazie a ciò, gli uomini sono accettati a Umoja: le donne li invitano a trascorrere la notte con loro e capita che essi, per lo più pastori, abbiano diverse mogli provenienti dal villaggio. «Credono di poter vivere senza gli uomini, ma questo non è possibile» spiega Samuel, capo anziano della comunità adiacente. La convivenza totale con il mondo maschile è in ogni caso impossibile dopo tanti anni di collettività femminile. Umoja insegna come la vita, nonostante a volte sia spietata, dia sempre una seconda possibilità per ricominciare.
Francesco Raguni
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