La vita di un rarissimo primate o quella di un bambino di 4 anni? Era proprio necessario sceglierne solo una o si sarebbero potute salvare entrambe? Queste sono alcune delle domande che attanagliano migliaia di utenti in tutto il mondo: infatti, l’uccisione di Harambe, il gorilla dello zoo di Cincinnati, ha provocato innumerevoli dibattiti, in un mix di opinioni contrastanti e a tratti indecorose.
Partiamo dal principio. Harambe era un esemplare maschio di gorilla della pianura occidentale, facente parte di una specie a rischio d’estinzione, con circa 175.000 unità rimanenti in tutto il mondo (di cui 765 ospitati in vari zoo di tutto il mondo), ma anche e soprattutto animali pacifici e vegetariani, che preferiscono un frutto a una mangiata di insetti, unica alternativa ad un’indole tutt’altro che cacciatrice. Harambe aveva 17 anni e lo zoo statunitense era ormai diventato la sua casa. La quotidianità di questo tranquillo essere vivente, però, è stata bruscamente interrotta il 28 maggio 2016, quando un bambino di 4 anni è caduto dalla recinzione, tra la disattenzione dei genitori e gli evidenti problemi di sicurezza dello zoo. Primati come quello in questione, come già detto, non sono aggressivi, sebbene l’ingresso di un altro maschio nel territorio possa cambiarne l’indole, vuoi per il carattere pur sempre dominante, vuoi per l’istinto di protezione di femmine e cuccioli.
Il bambino, comunque, è stato percepito fin subito come il piccolo di una specie simile e che, dunque, mai e poi mai avrebbe potuto arrecare danno. Così il gorilla, sebbene impaurito dalle urla della scalmanata folla, ha cercato di proteggere il malcapitato, portandolo con sé tra l’acqua e le mura del suo settore. Ricordiamo che l’esemplare pesava circa due quintali: con una sola mossa avrebbe potuto schiacciare il bambino, se solo avesse voluto, e proprio questa sembra essere stata la paura più grande per la sicurezza e per il direttore dello zoo, già colpevoli di non aver dotato delle sicurezze adatte le recinzioni circostanti.
In foto, Harambe con il bambino caduto dalla recinzione
Che fare, pertanto? Sedare Harambe? Sarebbe stato troppo rischioso, dato che i tranquillanti avrebbero agito dopo qualche minuto e sortendo inizialmente l’effetto opposto, con un certo rischio per la sopravvivenza del bambino. Richiamare Harambe? Si è provato e riprovato, seppur senza esiti positivi. Di conseguenza, l’unica scelta plausibile che ci si è sentiti di prendere in pochi minuti è stata quella di abbattere l’animale, giocando quasi il ruolo di un Dio che preferisce la vita di un essere vivente a quella di un altro. Sarebbe stato possibile aspettare senza incorrere in risvolti spiacevoli? È probabile di sì, se si tiene in considerazione il comportamento che il gorilla aveva assunto fino a poco prima. In alternativa, si sarebbe potuto chiedere l’intervento dei veterinari: questi ultimi, infatti, conoscevano bene Harambe e lo accudivano da molti anni, a differenza di una folla che aveva le idee ben poco chiare su quanto stesse accadendo.
È lecito ritenere, perciò, che con una scelta più ponderata si sarebbero probabilmente presi due piccioni con una fava, se non di più, piangendo un raro gorilla in meno ed evitando lunghe discussioni a posteriori sul caso. Adesso, infatti, c’è chi si schiera con l’ormai defunto Harambe, chi con la scelta del direttore dello zoo, chi ancora con la chiusura di zoo e attività circensi, rifacendosi alla storia dell’elefantessa Tyke che vi abbiamo proposto qualche mese fa. Per evitarlo, sarebbe bastato po’ di buon senso in più, nonché maggiore attenzione e senso di protezione da parte dei genitori del ragazzino coinvolto. Se così fosse stato, magari, oggi si parlerebbe di una vittima in meno fra le pagine dei giornali.
Francesco Mascali
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