«Quello della mobilità territoriale è un fenomeno complesso e per certi versi positivo, mediante il quale studenti e Atenei valorizzano a pieno le proprie potenzialità, realizzano l’incontro fra domanda e offerta didattica e coltivano l’internazionalizzazione». Lo sostiene Giancarlo Gasperoni, curatore di un’indagine di Almalaurea riguardante il Profilo dei laureati 2014 e presentato a fine maggio alla Bicocca di Milano. Ciò non vale, tuttavia, in relazione al fenomeno della “fuga dei cervelli” che sta portando, attualmente, il 35% degli studenti universitari a laurearsi in una sede diversa rispetto a quella di immatricolazione iniziale. Dal Sud Italia si allontanano a 5 anni dalla tesi il 39% degli immatricolati, mentre addirittura all’estero si reca il 10% dei laureati: fra loro, il 41% ritiene assai improbabile un rientro in patria e il 39% non molto verosimile.
E non è tutto qui. Dall’analisi, infatti, emerge anche che nascere in famiglie di «condizione socioeconomica fortunata» e con genitori laureati condurrebbe i figli ad applicarsi maggiormente, peraltro in settori con retribuzioni più alte e possibilità lavorative migliori. Non a caso, il 25% dei laureati triennali ha almeno un genitore laureato e la percentuale raddoppia in specialistica e in corsi di laurea a ciclo unico. Analoga tendenza è riferita allo status strettamente socioeconomico del nucleo familiare d’origine. Stando alle parole di Gasperoni, «la mobilità riflette anche il profondo divario sociale ed economico che caratterizza le regioni italiane e l’incapacità del Paese di trattenere i suoi giovani più dotati, con le regioni meridionali e insulari che ogni anno perdono circa la metà dei loro giovani migliori a favore del Settentrione».
Il mercato del lavoro cui si ambisce, quindi, dipende in primis dalla formazione ricevuta nell’ambiente familiare; in secundis, dalla località geografica nella quale si ha la possibilità di conseguire un titolo di studio superiore e dalla disponibilità economica del singolo studente o di chi lo finanzia. Non è un caso, poi, che a proseguire siano solo i più fortunati, i più ambiziosi e i più “protetti”, sia da una buona forma mentis che da un buono stipendio. E gli altri? Continuano a rimanere indietro, abbandonando l’Università o decidendo di non intraprendere affatto tale cammino; nel caso in cui decidessero di cimentarsi, spesso finiscono per essere, in ogni caso, ripetenti e/o fuori corso. Vicini alla stesura della prova finale, poi, temporeggiano o cambiano città, nella speranza di trovare un ambiente più adatto alle proprie esigenze.
Tali lacune e difficoltà, tuttavia, non sono risolvibili prevedendo solo una “emigrazione interna” fra Atenei, poiché la ragione che sta alla base di così numerosi fallimenti è da ricercare nei pochi fondi stanziati dal Governo per le singole Università, le quali potrebbero ampliare la propria offerta formativa, il proprio personale e un tutorato più mirato ad accompagnare nel ciclo di studi coloro che ne sentissero la necessità. Inoltre, maggiori aiuti economici agli Atenei consentirebbero un innalzamento della qualità dei servizi multimediali offerti, con la diretta conseguenza di incoraggiare una formazione sempre più informatizzata e l’apertura di più corsi di laurea in settori scientifici, richiedenti per obbligo la giusta strumentazione a portata di mano. Se la suddetta macchina funzionasse meglio e fosse più oliata, non è da escludere che gli immatricolati impiegherebbero meno tempo per giungere alla tesi, senza eccessivi trasferimenti, temporeggiamenti e timori per una futura assunzione. Studenti preparati, infatti, lavoratori assicurati: se non nello Stivale, quantomeno all’estero.
Eva Luna Mascolino
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