Da sei mesi l’Italia ha scelto di adottare il divorzio breve, con il quale i coniugi possono chiedere definitivamente lo scioglimento del matrimonio già dopo 6 mesi di separazione. I dubbi riguardanti la tutela dei figli nell’ambito di questo nuovo istituto sono sciolti dall’avvocatessa Chiara Pantò, la quale ha altresì espresso il proprio punto di vista sulla connessione tra la riduzione dei tempi e la propensione della società odierna a dissolvere repentinamente i legami personali.
Chi può chiedere il divorzio breve?
«La Legge 6 maggio 2015 n. 55 ha previsto che il divorzio breve possa essere richiesto dai coniugi separati con sentenza di separazione passata in giudicato nel termine di dodici mesi (e non più di tre anni), decorrenti dalla data dell’udienza di comparizione personale dei coniugi dinanzi al Presidente del Tribunale nell’ambito della procedura di separazione giudiziale. Nell’ipotesi di separazione consensuale, nonché di trasformazione del rito giudiziale in consensuale, si riduce invece a sei mesi la durata del periodo di separazione ininterrotta dei coniugi, che permette la proposizione della domanda di divorzio. I sei mesi decorrono, inoltre, dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da avvocati, ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’Ufficiale dello Stato Civile».
Oltre ai termini di separazione ridotti, quali sono le principali differenze rispetto al divorzio tradizionale?
«Oltre all’abbreviazione dei termini che devono intercorrere tra la separazione e il divorzio, le principali differenze col divorzio tradizionale consistono nella possibilità dei coniugi, se la volontà di porre fine al matrimonio è condivisa, di evitare l’intermediazione del giudice: è possibile avvalendosi della negoziazione assistita introdotta dal c.d. decreto giustizia (d.l. n. 132/2014), rivolgendosi ad un avvocato (per parte), ovvero optando per il divorzio in Comune, sottoscrivendo un accordo di fronte all’ufficiale di Stato Civile. Un’altra novità riguarda lo scioglimento anticipato della comunione legale tra i coniugi».
Cos’è la negoziazione assistita?
«La convenzione di negoziazione assistita è un accordo attraverso il quale le parti, che non si sono rivolte a un giudice, dichiarano di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere la controversia tramite l’assistenza dei propri avvocati. L’accordo sulla separazione o sul divorzio deve essere scritto dall’avvocato, il quale, dopo averlo fatto firmare ai coniugi, autentica le loro sottoscrizioni e lo deposita presso il procuratore della Repubblica del Tribunale competente. Quest’ultimo, se riconosce che l’accordo non contiene irregolarità ed è rispondente all’interesse dei figli, comunica il nulla osta, con il conseguente obbligo di trascrizione, a carico dell’avvocato, entro 10 giorni e nel Comune in cui il matrimonio è stato celebrato. Se, invece, il procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente ritiene che l’accordo non sia rispondente all’interesse dei figli, lo trasmette al Presidente del Tribunale, il quale fissa la comparizione dei coniugi. L’operatività del divorzio in Comune e della negoziazione assistita presuppone il consenso di entrambi i coniugi: nel caso in cui ciò non avvenga, si deve proporre la causa di separazione o di divorzio in Tribunale, secondo la consueta procedura».
Ci parli di come avviene il divorzio presso il Comune.
«La riforma ha introdotto, fra l’altro, la possibilità per i coniugi di divorziare in Comune, sottoscrivendo con l’assistenza facoltativa di un avvocato l’accordo congiunto di separazione consensuale, di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Ciò avviene innanzi all’ufficiale di Stato Civile o al sindaco del Comune di residenza di uno dei due coniugi, oppure di quello presso cui è trascritto l’atto di matrimonio. Tale procedura è applicabile soltanto in mancanza di figli minori, oppure di maggiorenni incapaci o economicamente non autosufficienti, ovvero portatori di un handicap grave. Inoltre, il divorzio in Comune non può contenere patti di trasferimento patrimoniale, mentre è possibile la previsione da parte dei coniugi dell’assegno di mantenimento o divorzile. Proibito, invece, concordare la corresponsione di un importo una tantum, trattandosi di attribuzione di tipo patrimoniale (come chiarito dalla circolare del ministero dell’Interno n.6/2015)»
Cosa cambia ora a livello procedurale e, in particolare, nell’ambito del tentativo di conciliazione?
«La legge sul divorzio breve ha previsto solo una riduzione dei termini per la proposizione del divorzio, lasciando immutato il sistema delle norme processuali. All’udienza di comparizione il Presidente deve esperire il tentativo di conciliazione necessario per accertare l’irreversibilità della dissoluzione del rapporto tra i coniugi e l’effettività di una decisione da cui scaturiscono conseguenze importanti per la vita del nucleo familiare. Il ruolo del Presidente può essere utile per ottenere la riconciliazione dei coniugi, o per consentire la trasformazione della procedura in consensuale. Anche nell’accordo di negoziazione assistita si deve dare atto del fatto che gli avvocati abbiano tentato la conciliazione delle parti e informato i coniugi della possibilità di esperire la mediazione familiare, mentre nel caso di divorzio in Comune è prevista una sorta di diritto di ripensamento, poiché si prevede che i coniugi siano riconvocati dall’ufficiale dello Stato Civile non prima di trenta giorni, per la conferma dell’accordo: la mancata comparizione equivale a una mancata conferma dell’accordo».
Posto che la soglia triennale era stata concepita per assicurare una profonda meditazione riguardo alla scelta del divorzio, crede che con il nuovo istituto sia in qualche modo pregiudicata la formazione di una consapevolezza piena?
«Non credo che l’abbreviazione dei termini per divorziare possa compromettere l’assunzione di una decisione consapevole circa la volontà di divorziare. La riforma non ha eliminato la fase della separazione per arrivare subito allo scioglimento del vincolo matrimoniale, a differenza di altri Paesi europei. Inoltre, l’esperimento del tentativo di conciliazione mira a verificare la formazione di una volontà consapevole di divorziare».
Il matrimonio è un vincolo con il quale ci si assume un impegno formale davanti allo Stato e all’ordinamento. Il divorzio breve può destabilizzare la serietà sottesa a questo atto giuridico?
«Penso che la possibilità di sciogliere il vincolo coniugale in termini così ridotti potrebbe portare all’equiparazione del matrimonio a un rapporto che si può dissolvere con estrema facilità e in brevissimo tempo, in piena sintonia con la società attuale, caratterizzata da unioni poco durature, “usa e getta”, destinate a dissolversi alle prime difficoltà».
Data la delicatezza della materia, il compito di dirimere la causa è affidato al Presidente del Tribunale. Quali poteri possono essere da lui esercitati, per assicurare ai figli coinvolti la maggiore protezione possibile?
«Quanto alle misure di protezione degli interessi minorili, il Presidente del Tribunale può non omologare la separazione consensuale, e il pubblico ministero può non rilasciare il nulla osta alla convenzione di negoziazione assistita, nell’ipotesi di accordi non rispondenti ai superiori interessi della prole, con la conseguente trasmissione della convenzione al Presidente del Tribunale, il quale fisserà l’udienza di comparizione dei coniugi proprio al fine di salvaguardare tali interessi».
Abbreviare i termini può significare, secondo lei, abbassare la soglia di tutela dei figli sia a livello giuridico che psicologico?
«Non ritengo che l’abbreviazione dei termini possa comportare a livello giuridico un arretramento della soglia di tutela dei figli. Del resto, tutta la disciplina legislativa è imperniata sull’esigenza di corrispondenza degli accordi separativi e divorziali con l’interesse morale e materiale della prole. Diverso è il profilo psicologico, dato che la consapevolezza della rottura irreversibile del rapporto di coniugio successiva al divorzio (con il conseguente scioglimento degli obblighi discendenti dal rapporto coniugale, e non con la mera sospensione dei suddetti obblighi derivante dalla separazione) potrebbe determinare effetti pregiudizievoli sulla serena crescita dei figli».
Claudia Rodano
L’avvocatessa Chiara Irene Pantò si è laureata alla Facoltà di Giurisprudenza di Catania con votazione 110/110 e lode. Esercita la professione con grande impegno nel settore sociale, essendo legale di Angeli, associazione accredita presso il Ministero delle pari opportunità. Ha firmato la carta internazionale sulla prevenzione della violenza contro le donne a Zarzis, in Tunisia, e ha anche partecipato alla campagna sui “diritti umani negati” con la sociologa Giorgia Butera. Come tutte le avvocatesse è veramente difficile, se non impossibile, farla stare zitta!
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