Alcuni dati concreti per comprendere le procedure attraverso le quali i rifugiati in Italia ottengono lo status di protezione internazionale e come viene regolata la loro accoglienza.
L’Articolo 1A della Convenzione di Ginevra, 1951, definisce lo status del rifugiato colui che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”. Attualmente il nostro paese ha accolto 147.370 rifugiati, su una popolazione di oltre 60 milioni di abitanti, ciò implica una media di 2,4 migranti ogni 1.000 residenti.
Coloro che possono beneficiare di questa tutela dal punto giuridico-amministrativo sono esclusivamente persone che nel loro paese di provenienza sarebbero soggette a grave persecuzioni, in violazione dei diritti umani fondamentali. Nel 1954 l’Italia con la legge 722 ha ratificato la convenzione di Ginevra, stabilendo che chi presenta una richiesta di asilo politico in Italia, nel caso in cui quest’ultima non sia respinta, possa essere accolto secondo tre modalità:
Lo status di rifugiato implica un permesso rinnovabile della durata di 5 anni rilasciato dalla questura italiana che garantisce al suo titolare l’accesso allo studio, al lavoro, al servizio sanitario e l’assistenza dell’Inps. Se la Commissione territoriale, l’organo che si occupa della valutazione delle domande d’asilo, non riconoscesse lo status di rifugiato al richiedente essa potrebbe comunque intercedere con la questura per far rilasciare al suddetto un permesso di soggiorno per protezione umanitaria, laddove ritenesse esservi una reale minaccia per l’incolumità di quella persona nel suo paese d’origine. Un’ulteriore forma di protezione internazionale è la protezione sussidiaria. Essa viene riconosciuta a coloro che non sono in possesso dei requisiti di rifugiato, ma che comunque necessitano di una forma di tutela in quanto all’interno del loro paese potrebbero subire un danno grave, quali la condanna a morte o la tortura. Secondo i dati della Commissione Nazionale per il diritto d’Asilo nel 2017, da gennaio a luglio, il nostro paese ha accolto 3.823 richieste d’asilo con status di rifugiato, 10.113 titolari di protezione umanitaria, 3.651 titolari di protezione sussidiaria, totalizzando invece 25.145 dinieghi.
Il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (Sprar) è il progetto nazionale pubblico dipendente dal Ministero dell’Interno, costituito da enti locali (comuni, province e regioni con progetti di accoglienza su base volontaria) e da realtà del terzo settore, che garantisce accoglienza ai titolari di questi tre permessi di asilo politico. All’interno del circuito Sprar il richiedente asilo ha diritto a vitto e alloggio, oltre ad ulteriori misure d’integrazione come l’insegnamento della lingua o corsi di formazione professionale, per aiutare la persona ad inserirsi socialmente ed economicamente nelle nostre comunità. Coloro che beneficiano di forme di protezione umanitaria o sussidiaria hanno diritto a rimanere all’interno del circuito Sprar per un periodo di soli sei mesi, prorogabile solo dal Servizio Centrale che presiede la rete d’accoglienza. Allo straniero inoltre viene rilasciato un tesserino che ne attesti la sua ammissione allo status di rifugiato, ma che non ha il valore di documento di identità, che deve essere richiesto nel comune di residenza. Secondo i dati aggiornati al mese scorso al momento in Italia sono attivi 768 progetti Sprar per un totale di 31.313 posti finanziati e 1.100 comuni coinvolti. Ottenere lo status di rifugiato però non sembra sufficiente in alcuni casi, Medici Senza Frontiere stima 10mila rifugiati in Italia che vivono al di fuori del sistema d’accoglienza in condizioni di precarietà, senza assistenza sanitaria, in insediamenti informali sorti lungo la penisola. Si stimano inoltre centinaia di richiedenti asilo a cui viene negata l’assistenza prevista dalla legge per la carenza di posti nei centri d’accoglienza o che pur vivendo da anni nel nostro paese, non sono riusciti a completare il loro percorso di inserimento sociale.
Diana Avendaño Grassini
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