Papa Francesco ha ricevuto ieri in udienza una delegazione dell’Associazione internazionale di diritto penale, di fronte alla quale ha tenuto un discorso circa le modalità di esecuzione della pena nelle diverse parti del mondo, senza mai toccare singoli casi. I giuristi dovrebbero controllare «la pressione dei mezzi di comunicazione di massa e le pulsioni di vendetta che serpeggiano nella società» dichiara il Pontefice, che attacca la pena di morte, ancora presente in alcuni Stati, ma anche l’ergastolo: «Nel Codice penale del Vaticano, non c’è più. L’ergastolo è una pena di morte nascosta».
Per dovere di cronaca, nonostante la pena di morte in Vaticano sia stata rimossa nel 2001 su iniziativa di Papa Giovanni Paolo II, dobbiamo sottolineare questo stralcio di lettera dell’allora cardinale Ratzinger, inviato all’arcivescovo di Washington e al presidente della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, in qualità di prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede: «Se un cattolico fosse in disaccordo col Santo Padre sull’applicazione della pena capitale o sulla decisione di fare una guerra, egli non sarebbe da considerarsi per questa ragione indegno di presentarsi a ricevere la Santa Comunione. Mentre la Chiesa esorta le autorità civili a perseguire la pace, non la guerra, e ad esercitare discrezione e misericordia nell’applicare una pena a criminali, può tuttavia essere consentito prendere le armi per respingere un aggressore, o fare ricorso alla pena capitale».
La pena di morte nel Vaticano, infatti, veniva giustificata attraverso il principio della legittima difesa, enunciato in modo particolare da Tommaso d’Aquino: se in un territorio non vi era altro modo per difendere la società, se non vi erano carceri abbastanza sicure o mezzi per tenere lontano il soggetto pericoloso, il frate domenicano la giustificava quale mezzo estremo di legittima difesa. Oggi, quindi, il ricorso alla pena di morte non appare plausibile, poiché sembra difficile immaginare un luogo nel pianeta dove non sia possibile riuscire almeno a reprimere, se non addirittura a rieducare un delinquente con mezzi legali. Il Santo Padre denuncia anche la situazione delle carceri, non luogo di ravvedimento, ma moderni campi di concentramento, condannando allo stesso tempo le condizioni in cui si trovano centri di accoglienza, ospedali psichiatrici e commissariati: «Ogni nuovo carcere esaurisce la sua capienza già prima di essere inaugurato» e ancora le «deplorevoli condizioni detentive che si verificano in diverse parti del pianeta […] non sono altro che il risultato dell’esercizio arbitrario e spietato del potere sulle persone private della libertà».
Critiche aspre, infine, nei confronti delle esecuzioni extragiudiziali, delle torture e delle misure crudeli e degradanti: «Sotto queste figure che ho menzionato, c’è sempre quella radice: la capacità umana di crudeltà. Quella è una passione, una vera passione» ed aggiunge «Le torture ormai non sono somministrate solamente come mezzo per ottenere un determinato fine, come la confessione o la delazione, ma costituiscono un autentico plus di dolore che si aggiunge ai mali propri della detenzione».
Federica Susini
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