La notizia di Andrea, studente dell’Università di Catania che si è tolto la vita la scorsa settimana, ha scosso non poco l’ambiente universitario siciliano. L’insano gesto, consumatosi a Ragusa in via Archimede (dove abitava), ha avuto una risonanza non indifferente tra gli studenti degli atenei isolani. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Andrea si sarebbe buttato dal balcone dopo aver sostenuto l’esame per una materia del suo corso di laurea. Iscritto alla triennale di “Storia, politica e relazioni internazionali“, erano ormai pochi i passi che lo separavano dal tanto ambito traguardo. Dal momento in cui la notizia si è diffusa sui social tanti i commenti – alcuni anche poco opportuni – sulla vicenda. E qualcuno ha provato a fare ulteriore chiarezza.
Le parole che più colpiscono sono quelle di G., un suo amico: «Anche qui a Ragusa, tra noi amici, non è chiara l’effettiva causa del gesto. Sappiamo solo che da diverso tempo ci era sembrato più “cupo”. Probabilmente per questo periodo di emergenza sanitaria e altri fattori si sentiva recluso. Ma non ne hai mai parlato, almeno con noi. Anch’io ero a conoscenza di questo esame imminente, ma dubito fortemente che sia stata la causa principale della sua morte». Poi continua: «La cosa di cui sono davvero certo, più di tutto il resto, è il ragazzo che era Andrea. Un ragazzo “dannatamente” intelligente, buono e soprattutto razionale. Forse è stato lo stato d’animo che pativa da tempo a spingerlo a questa fine».
Non mancano neanche le riflessioni circa la realtà in cui viveva e le voci messe in giro. «Sappiamo bene come funziona in determinate città. Sono state tante le cose dette, alcune inventate e ingigantite da persone che neanche conoscevano il ragazzo che era». Andrea era desideroso di portare avanti il suo percorso. Il traguardo tanto desiderato era vicino, con la tesi già pronta e l’ingresso presso la magistrale a Padova in Scienze per la cooperazione allo sviluppo ormai alle porte.
Voci confermate da A., suo collega al corso triennale di Scienze Politiche: «Ricordo un ragazzo con il sorriso sempre in faccia, un ragazzo studioso, preparato, che si impegnava per raggiungere i suoi obiettivi». Anche all’interno dell’ambiente universitario non è chiaro il reale motivo che abbia spinto uno studente di così belle speranze a una fine così tragica: «Ciò che posso dire è che, a volte, le frasi di alcuni professori non siano accettabili. Non possiamo certamente affibbiare la colpa a qualcosa o qualcuno, ma, a prescindere da quali siano le reali motivazioni, penso che determinati atteggiamenti da parte di chi rappresenta l’Università nei confronti di soggetti fragili debbano essere evitate».
Infine, una riflessione sull’ambiente accademico: «Quando sei a due materie dalla laurea, con la tesi già pronta e la magistrale a un passo, non si tratta più di obiettivi falliti o raggiunti. Quindi, non credo possa portarti a compiere “follie”. La sensibilità di una persona va curata e preservata. Si tratta di una sensibilità diversa. Siamo ragazzi e nell’emotività di ognuno di noi ogni frase detta assume un peso diverso. Si deve avere tatto, perché ogni parola può influire e aggravare situazioni non note e che possono portare a gesti simili».
Dietro ogni studente si cela un abisso emotivo sconosciuto ai più. La denuncia fatta in modo unanime da amici e colleghi è di avere cura della sensibilità di ogni individuo che varca le porte del mondo accademico, e non solo. Un mondo che può essere la salvezza per alcuni, ma che per altri può gravare ulteriormente sulla psicologia e su stati emotivi nascosti anche alle persone più vicine. E che può portare, in certe occasioni, a compiere un gesto simile, privandoci della vita di chi, prima di qualunque etichetta, era un giovane ragazzo.
Francesco Mascali
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