La splendida illogicità del calcio, che non conosce pronostici certi o regole scritte, regala al Catania una serata indimenticabile che entrerà nella storia del club. Partiamo dai dati: la vittoria avvenuta contro il Padova, con il risultato di 4-2, permette al club di Pelligra di alzare al cielo per la prima volta la Coppa Italia di Serie C. Si tratta del secondo trofeo a carattere nazionale per i rossoazzurri, a distanza di ben 70 anni dall’ultimo: il campionato di Serie B stagione 1953/54.
I freddi numeri, tuttavia, non riescono a descrivere appieno il significato della serata di ieri per gli etnei. Tra poche settimane correrà il decimo anniversario dell’ultima partita in Serie A. Tra pochi giorni, invece, saranno due anni da quella drammatica esclusione dalla C a campionato in corso: una fine scritta e inevitabile che ha chiuso il periodo di difficoltà economica del Catania inaugurato nell’estate del 2015 dopo l’inchiesta dei “treni del goal” e la conseguente retrocessione dalla B alla C dopo un solo anno di militanza nel campionato cadetto.
Un fallimento e quasi un decennio nella categoria più complessa del calcio italiano. Nel mezzo quella ripartenza lampo nel campionato di D stravinto grazie agli ingenti investimenti del presidente italo australiano. Presto si spiega, dunque, il motivo che si cela dietro tanto entusiasmo per un trofeo insperato e in un certo senso inspiegabile. Inspiegabile come la cavalcata dei rossoazzurri, con ben 3 tecnici differenti, in direzione ostinata e contraria rispetto al cammino in campionato. Come può una squadra che naviga ai margini della zona play-out vincere un trofeo a dispetto di una squadra ben più attrezzata, ribaltando il risultato dell’andata nonché un pronostico che sembrava già scritto?
Ed è qui che entra in gioco quell’irragionevolezza che rende il calcio lo sport più seguito al mondo. In un contesto quasi surreale per una finale di coppa nazionale, il Catania si impone su un avversario più quotato, per molti la vera bestia nera da evitare in quei play-off che comunque vanno conquistati nelle ultime 4 partite della regular season. Davanti 1500 bambini, che difficilmente dimenticheranno questa sera, rappresentando il volto pulito di un calcio a volte sopra le righe.
Illogicità che torna a gamba tesa inevitabilmente nel racconto dei 120 minuti. Montagne russe da cuore in gola: 6 goal di cui ben 2 ai gong dei tempi regolamentari e supplementari. Di Carmine, Cicerelli, Marsura e Costantino. Tra i 4 marcatori per il Catania, spiccano gli ultimi due, non solo per aver segnato al 90′ e al 120′, ma per il difficile percorso che li ha portati a questa folle finale.
Attese non rispettate nonostante il blasonato curriculum, con una partenza data per certa a gennaio e un feeling forse mai creato con il tifo per il numero 77. Il peso dell’attacco, la delusione per le tante occasioni mancate dal suo arrivo e i tanti dubbi sulla reale utilità del suo acquisto per il 9. Entrambi entrati dalla panchina, tra l’incredulità generale per la scelta.
Un percorso parallelo e di non facile comprensione. Un gruppo scollato, incapace di reagire alla minima difficoltà in campionato, si ritrova compatto e pronto a uscire il coniglio dal cilindro in coppa. E allora torna, ancora, quell’irrazionalità che provoca emozioni contrastanti, perchè non è un caso, forse, che il primo trofeo dopo 70 anni arrivi in una delle stagioni più difficili per questi colori.
“Ancora non ci credo che abbiamo vinto questa coppa – chiosa un emozionato presidente Pelligra davanti ai microfoni – Catania merita questa coppa: è stato un sogno che dedico a voi, i nostri tifosi, a cui voglio un gran bene“.
Francesco Mascali
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