Uno degli obiettivi principali, al giorno d’oggi, è quello di essere felici. Sì, perché la felicità, non essendo più un fattore facilmente raggiungibile, è diventata una vera e propria chimera, come una sorta di “corsa all’oro” per chiunque. I nostri antenati, chissà perché, riuscivano a esserlo con quel poco che il mondo, allora, gli offriva, senza l’eccesso di cui godiamo oggi; eppure, oggi non riusciamo a essere felici. Singolare vero? Ma non tanto a quanto pare, giacché ci sono addirittura docenti i quali implementano corsi universitari su come raggiungere la perfezione, nonché la felicità. Difatti, attualmente perfezione è uguale a felicità; ecco che quando negli Stati Uniti la psicologa Laurie Santos ha tenuto il corso Psychology and the good life, le partecipazioni sono state innumerevoli, diventando un vero caso mondiale.
Uno studente su quattro, in relazione a quanto riporta Internazionale, ha deciso di aderire al corso. Nello specifico, non si è trattato del classico discorso filosofico mediante cui raggiungere la felicità attraverso i precetti aristotelici, epicurei eccetera, ma una serie di lezioni il cui scopo era insegnare agli studenti come primeggiare in tutto. La vita universitaria, d’altronde, è un continuo sali/scendi di successi e insuccessi e gli obiettivi principali, solitamente, sono quelli di avere una media alta, superare gli esami facilmente e in poco tempo, e così via. Inoltre, la società stessa è quella che impone una certa perfezione, compresi i social media e gli status symbol da essi imposti, quindi è assolutamente – o quasi – normale che uno studente, o chiunque altro, si senta in obbligo nel dover eccellere.
A tal proposito, dunque, insorgono malesseri come lo stress, l’ansia da prestazione, la paura di sbagliare e tanti altri mali i quali, purtroppo, rappresentano i tempi moderni. Perché la frase «si stava meglio quando si stava peggio» non è più un modo di dire o un aforisma, ma la realtà dei fatti. I frequentanti il corso, a parte le tradizionali lezioni e i quiz da compilare in classe, avevano anche dei “compiti a casa”: conoscere una persona nuova, compiere degli atti di gentilezza, il tutto nell’arco di tempo imposto dalla suddetta docente. Dunque, queste azioni, una volta ordinarie ma oggi particolarmente rare, si ha bisogno di apprenderle sui banchi di scuola. La parola “felicità”, che compare su prodotti di ogni genere, articoli vari, film eccetera, non riesce più a comparire nella vita delle persone. E forse non si dovrebbero attivare lezioni al fine di insegnare la felicità, ma bisognerebbe imparare da sé stessi e dalle proprie esperienze: d’altro canto, la felicità è solamente il risultato delle proprie azioni.
Anastasia Gambera
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