Ununtrium (Uut), Ununpentium (Uup), Ununseptium (Uus) e Ununoctium (Uuo) erano i nomi provvisori, annunciati il 30 dicembre 2015, dei quattro nuovi elementi chimici che dallo scorso gennaio arricchiscono la nomenclatura dell’IUPAC completando la settima riga della Tavola di Mendeleev. Sempre a gennaio, sulla rivista Nature,
il chimico inglese Philip Ball aveva proposto di designare con il termine Levium uno degli elementi in onore di Primo Levi, scrittore italiano e autore de Il sistema periodico, un libro del 1975 che comprende ventuno racconti ognuno dei quali porta come titolo un nome dei costituenti della tavola periodica.
Oggi, con nessun onore da poter conferire allo scrittore torinese, disponiamo ufficialmente dei simboli e dei nomi nella versione inglese : nihonium, moscovium, tennessine e oganesson.
L’Nh è stato scoperto dai ricercatori nipponici dell’ Istituto Riken Nishina Center nel 2003 e prende origine dalla parola giapponese nihon denotante il Paese del Sol Levante. L’elemento centoquindici o eka–bismuto e l’elemento centodiciassette detto anche eka–astato sono stati ottenuti dall’operato, in Russia, dell’Istituto congiunto per la ricerca nucleare di Dubna e dal lavoro coadiuvante tra l’ Oak Ridge National Laboratory e la Vanderbilt University di Nashville. L’Og è invece accreditato al fisico nucleare russo Yuri Oganessian e fa parte del gruppo dei gas nobili di cui però si conoscono solo pochi connotati chimici. Tutti e quattro sono elementi irreperibili in natura e quindi esclusivamente riproducibili in laboratorio.
La loro scoperta è stata molto complicata poichè ugualmente a tutti gli altri elementi pesanti presenti nella parte finale della tavola, è possibile identificarli solo pochi istanti prima che decadano in altri elementi. A causa della intensa refrattarietà alle reazioni chimiche e alla loro impossibilità di essere utilizzati nelle tecnologie odierne, come riporta il Corriere della Sera, le scoperte di questi elementi chimici rientrano « nella scienza della soffisfazione intellettuale, non delle applicazioni».
Sara Santoro
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