I dati raccolti dal MIT dimostrano che c’è stato un miglioramento rispetto al 2000 e che la strada intrapresa per la soluzione del problema è quella giusta. I ricercatori parlano addirittura di una possibile “guarigione” del pianeta.
I dati raccolti durante uno studio condotto dai ricercatori del Massachussets Institute of Technology (MIT), del National Center for Atmospheric Research di Boulder e dell’Università di Leeds, pubblicati sulla rivista Science, dimostrano la progressiva riduzione del fenomeno. Le dimensioni del buco dell’ozono al di sopra dell’Antartide si sono progressivamente ridotte in modo lento, ma costante. La coordinatrice della ricerca Susan Solomon ha dichiarato: «Siamo fiduciosi che le misure messe in atto hanno messo il pianeta sulla strada giusta per “guarire”». I dati raccolti sembrano dare tregua e speranza ad una generazione che ha conosciuto il suddetto fenomeno negli anni Cinquanta, quando venne scoperto, salvo poi essere misurato in modo preciso per la prima volta negli anni Ottanta, diventando un sorvegliato speciale e un problema per l’intero pianeta. Analizzando le misurazioni dell’ozono, prese da palloni meteorologici e satelliti dal 2000 al 2015, e confrontandole con le proiezioni basate sulla situazione degli anni precedenti, i ricercatori hanno calcolato che rispetto al picco del 2000 il buco dell’ozono si è ridotto di circa 4 milioni di chilometri quadrati.
Questo buco è frutto dell’assottigliamento dello strato di ozono stratosferico che filtra i raggi ultravioletti che arrivano sulla Terra, particolarmente accentuato sopra le regioni polari, e iniziò ad essere studiato negli anni Settanta. Il suo rapido peggioramento nel corso degli anni Ottanta portò alla ratifica del Protocollo di Montreal per la graduale eliminazione della produzione di sostanze che causano l’impoverimento dello strato di ozono. Infatti, particolarmente dannosi per lo strato di ozono sono i clorofluorocarburi (CFC), sostanze chimiche derivate dal metano, un tempo molto usate nei frigoriferi, condizionatori e nelle bombolette spray. Ma non sono solo i clorofluorocarburi la causa del problema, infatti l’ozono stratosferico è sensibile agli effetti del cloro, la cui entità dipende anche dalla temperatura e dalla luce solare. I danni maggiori si manifestano nelle regioni polari, in quanto gli effetti più gravi si verificano quando l’atmosfera è abbastanza fredda da creare nuvole stratosferiche che, sotto l’effetto della radiazione solare, favoriscono l’efficienza delle reazioni del cloro. Proprio per questo motivo la manifestazione del fenomeno è molto estesa nelle regioni polari e il fenomeno raggiunge il suo picco, in particolare sopra l’Antartide, proprio quando, fra fine agosto e ottobre, il continente emerge dal lungo inverno.
Proprio nel 2015 il buco dell’ozono aveva fatto registrare la sua dimensione record, destando grande preoccupazione e ulteriore attenzione al fenomeno. Però, sempre Susan Salomon, ha spiegato che il buco record del 2015 non è legato all’azione dei CFC, bensì all’eruzione del vulcano cileno Calbuco. I crateri, infatti, non emettono quantità significative di cloro nella stratosfera, eppure favoriscono la formazione di nuvole stratosferiche polari, potenziando l’effetto del cloro presente. Via via che i livelli di cloro diminuiranno, concludono i ricercatori, il buco nell’ozono si ridurrà sempre più fino a sparire, e la prima firmataria dell’articolo di Science, Susan Solomon, si è detta ottimista che ciò avvenga: «Ora possiamo essere sicuri che le azioni intraprese con il Protocollo di Montreal hanno messo il pianeta sulla strada della guarigione».
Gianluca Merla
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