Giuseppe Fava nasce il 15 settembre 1925 a Palazzolo Acreide in Provincia di Siracusa. Intraprende gli studi giuridici a Catania, ma conseguita la laurea decide di dedicarsi al giornalismo. Giuseppe Fava è stato il più grande giornalista della nostra città; ma prima di tutto è stato un Siciliano con la “S” maiuscola. Un siciliano che conosceva e amava la propria terra e a cui dedicò tutta la sua vita. Nelle numerose inchieste da lui scritte come I siciliani, Processo alla Sicilia, oltreché nei racconti, descrisse la vera essenza dell’isola e dei suoi abitanti, il patrimonio culturale, i paesaggi meravigliosi, le antiche origini, ma anche il dolore, il degrado, il male che da più di cento anni deturpa questa terra: la Mafia, che per tutta la vita denunciò.
Dopo una fiorente carriera che lo ha visto protagonista in incarichi ottenuti presso Il Giornale dell’Isola, l’Espresso sera o il Corriere di Sicilia, l’intervista ai boss mafiosi Calogero Vizzini e Genco Russo e le numerose pubblicazioni, nel 1980 fu nominato direttore del Giornale del Sud: il quotidiano iniziò una campagna spregiudicata contro l’ingiustizia, la criminalità e i mafiosi. Fava diventò un modello da seguire per molti e un pericolo da eliminare per molti altri. Anche i colleghi gli voltarono le spalle impauriti; il giornalista potè contare sui giovani, ragazzi alle prime armi che avevano entusiasmo e voglia di combattere, che non volevano fermarsi alla mera informazione. Giuseppe Fava scrive il 4 giugno del 1980: «Noi siamo il Giornale del Sud per questo; per dare ai siciliani quella presenza politica e culturale che aspettavano […] Noi vogliamo lottare ogni giorno (e non c’è alcuna retorica in questa parola, ma solo collera, amore e orgoglio) per organizzare il destino di noi siciliani.»
Licenziato nell’ottobre del ’81 fondò l’anno successivo un nuovo giornale I Siciliani attraverso cui continuò la sua lotta facendo nomi di capi cosca, di imprenditori e politici. Nel gennaio ’83 vide la luce I quattro cavalieri dell’apocalisse, un lungo articolo in cui Fava ripercorse i cambiamenti della Mafia durante i decenni accusando i quattro più importanti imprenditori catanesi, tra cui Graci, di essere legati a Nitto Santapaola. Nel dicembre dello stesso anno alla trasmissione Report affermò: «I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della Nazione.»
Un giorno Giuseppe Fava scrisse: «Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera, quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza, la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente all’erta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo.» Fava ebbe la forza di affermare quello che tanti tacevano e pagò per questo: pochi giorni dopo, il 5 gennaio 1984 fu ucciso da cinque colpi di pistola alla nuca sparati da un membro del clan dei Santapaola. La penna di un giornalista non può scorrere sulla carta se nelle sue vene non scorrono i suoi ideali.
Viviana Giuffrida
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