È un caso, o forse no, che sia accaduto proprio in questi giorni: Bernardo Provenzano, storico boss di Cosa Nostra, si è spento all’età di 83 anni presso l’Ospedale San Paolo di Milano. Già da alcuni anni gli era stato diagnosticato un cancro alla vescica, ragion per cui la sua morte era pronosticabile a breve. Fa certamente incuriosire, in ogni caso, il fatto che il decesso sia avvenuto a pochi giorni della strage di via D’Amelio, dove perse la vita il magistrato Paolo Borsellino.
Fu proprio Provenzano, peraltro, ad affiancare l’altro corleonese, Totò Riina, nella scalata ai vertici di Cosa Nostra e nelle stragi che videro una terra intera tingersi di sangue. A differenza del proprio compaesano, però, egli viene riconosciuto dai più come «il ragioniere», grazie alle doti da vero politico con le quali ha da sempre costruito il proprio impero, fatto non solo di pallottole e tritolo, ma anche di affari invisibili, ricchi appalti e trattative statuali per cui era ancora sotto processo, quando si è spento.
Va sottolineato, tuttavia, che Provenzano in molte occasioni non è stato il capo che tutti conosciamo. Negli anni della ascesa, per esempio, quando ancora Cosa Nostra era in mano alle famiglie palermitane, fu lui stesso il materiale esecutore della strage di viale Lazio del 1969 (nel medesimo capoluogo siciliano), un episodio che non solo diede il via alla scalata dei “paesani”, ma che fece anche accrescere la fama sanguinaria di Bernardo, ai tempi conosciuto come «u’ tratturi» per la violenza con la quale poneva fine alle vite dei propri avversari. Negli anni in cui persero la vita nome eccellenti tra le fila della magistratura, del giornalismo e delle forze dell’ordine, Provenzano rimase intanto accanto al più spietato Riina e lo accompagnò in tutte le fasi salienti di quel folle decennio. Contemporaneamente, un’altra figura si rivelò di vitale importanza per la crescita esponenziale della compagine mafiosa.
Si trattava di Vito Ciancimino, assessore ai lavori pubblici e sindaco della città di Palermo, che spianò le strade – già spaventosamente aperte – ai corleonesi, affinché questi salissero al potere nell’intera isola, e che diede un’altra impronta alla personalità di Provenzano. È in quel periodo, infatti, che «il ragioniere» prese a lucrare sugli appalti pubblici e ad affinare le proprie abilità di trattatore, tanto con boss di altre famiglie, quanto con uomini di potere, politici e facoltosi economi. Fu durante tale periodo, insomma, che nacque la figura dell’invisibile Provenzano, colui che sembra non esserci, ma che poi agisce, con un finto silenzio grazie a cui è stato consacrato come vero e proprio “uomo d’onore”. Poco tempo dopo, arrivarono poi le trattative Stato-mafia, l’arresto di Totò Riina e degli altri boss, così come nuovi partiti che sostituirono i vecchi. Nella sporca tela della penisola italiana vennero intessute, quindi, trame diverse: cambiarono gli equilibri in cui Provenzano agiva da “capo dei capi” ora silenzioso, senza mai sporcarsi di sangue e decidendo ogni mossa con dei semplici pizzini. Solo con quelle poche righe annotate nero su bianco, perciò, venivano discussi omicidi, appalti, elezioni e spartizioni dei territori, affiancate all’immensa dispensa di consigli che in prima persona egli stesso dava ai propri collaboratori.
A dieci anni dal suo arresto, lo status quo è parecchio cambiato, sebbene in profondità, da Nord a Sud, nello Stivale l’entità del male permanga uguale. A dieci anni dal suo arresto, «il ragioniere» che ha latitato per 43 anni, con la sua anima da “trattore”, si è andato spegnendo nel duro regime del 41 bis, disfatto da un cancro funesto e da una condizione psichica sempre più instabile. A dieci anni dal suo arresto, muore oggi, 13 luglio 2016, uno dei protagonisti del fenomeno forse più pericoloso della nostra penisola: ricordarne la condotta è, pertanto, indispensabile, al fine di far maturare la consapevolezza collettiva – specialmente dei più giovani – circa il fatto che la criminalità riesce a colpire in molti modi e in ogni tempo, logorando qualunque splendida terra con spaventosa brutalità.
Francesco Mascali
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