Chissà quanti occhi blu ci sono nel mondo, quante chiome nere come l’ebano, quanti lineamenti simili ai nostri, quanta gente è alta esattamente quanto noi. Ce lo domandiamo già da bambini e sempre in tenera età apprendiamo che nessuna delle seguenti caratteristiche considerata singolarmente rappresenta una nostra esclusiva. Di solito ci verrà presto insegnato che l’insieme dei caratteri somatici sommati al carattere di ciascuno ci rende però delle persone uniche e inimitabili. Di lì a breve scopriremo però anche che basta un’impronta per essere individuati, un’impronta, un segno che lasciamo solo noi.
Ebbene, dopo un secolo in cui abbiamo attribuito alle linee dei nostri indici capacità identificative, rendendo le impronte digitali uno tra i metodi a cui più spesso si ricorre nel corso delle indagini per risalire al colpevole, le nostre certezze oggi potrebbero essere ribaltate. In un rapporto dell’Aaas, l’Associazione americana per l’avanzamento delle scienze, esperti di scienze forensi affermano che non ci sarebbero sufficienti elementi per provare l’unicità delle impronte digitali. Non c’è, in particolare, un modo davvero univoco che permetta di associare senza margine di dubbio le impronte nascoste, cioè quelle invisibili che vengono lasciate dai polpastrelli a contatto con una superficie, ad una determinata persona piuttosto che ad un altro soggetto.
Il documento esamina le tecniche con cui vengono analizzate e confrontate le impronte digitali lasciate sulle superfici dai polpastrelli e composte dall’alternarsi di creste e solchi secondo precisi disegni. Quello che emerge è che non esiste un metodo univoco per associare un corredo di impronte a un unico individuo. Viene sancito in questo modo il ‘sospetto’ che recentemente aveva portato a considerare le impronte digitali un metodo di identificazione non più affidabile al 100%. «L’analisi delle impronte digitali è uno dei metodi forensi più utilizzati per l’identificazione» è quanto sottolineato da Joseph Kadane, «i sistemi che le analizzano servono a identificare la persona che ha lasciato il suo segno sulla scena del crimine» continua ancora l’ insegnante di statistica e scienze sociali dell’università americana Carnegie Mellon.
Il report però esamina le tecniche con cui vengono analizzate le impronte digitali nascoste e, sulla base di tale confronto, sembrerebbe che «non esiste un metodo scientifico per stimare il numero di persone che condividono le caratteristiche di una impronta digitale, e inoltre non si può escludere l’errore umano durante il confronto» e, dunque che le impronte digitali latenti «non possano essere associate a un unico individuo con una precisione del 100%». Ciò che si può fare è intensificare la capacità dei sistemi di confronto automatico, ma è necessario investire ancora tempo e ricerca in tale ambito. Questi ultimi, infatti, come osservato dagli esperti «oggi svolgono un ruolo importante per scartare rapidamente migliaia di impronte digitali che non hanno caratteristiche simili a quelle in esame, ma ancora non sono in grado di abbinare un’impronta digitale rilevata sulla scena di un crimine a quella raccolta dalle autorità da un sospettato, né possono determinare se un confronto sia valido».
Concetta Interdonato
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