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La storia della prof. Cloe Bianco: licenziata perché transgender dopo il coming out, morta suicida a Belluno
15 Giugno 2022
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La storia della prof. Cloe Bianco: licenziata perché transgender dopo il coming out, morta suicida a Belluno

Home » Best politik » La storia della prof. Cloe Bianco: licenziata perché transgender dopo il coming out, morta suicida a Belluno

Il testamento di Cloe Bianco, uccisa dall’indifferenza della società

È stata trovata nel suo camper, divorato dal fuoco, in un bosco fra Auronzo e Misurina nel bellunese. La professoressa Cloe Bianco, 58 anni, di Marcon (Venezia) è morta suicida, nell’indifferenza generale. Sul tavolo della cucina è stato trovato quello che restava di un ricco pasto e di un bicchiere di vino, l’ultima cena della donna, insieme al libro che aveva scritto sulla sua esperienza e sulla decisione di diventare la donna che era sempre stata. Il 10 giugno così preannunciava “la propria libera morte”: «Subito dopo la pubblicazione di questo comunicato porrò in essere la mia autochiria, ancor più definibile come la mia libera morte. In quest’ultimo giorno ho festeggiato con un pasto sfizioso e ottimi nettari di Bacco, gustando per l’ultima volta vini e cibi che mi piacciono. Questa semplice festa della fine della mia vita è stata accompagnata dall’ascolto di buona musica nella mia piccola casa con le ruote, dove ora rimarrò. Ciò è il modo più aulico per vivere al meglio la mia vita e concluderla con lo stesso stile. Qui finisce tutto». Contestualmente ha pubblicato il suo testamento biologico, e quello olografo (scritto a mano). Infine, un ultimo messaggio denso di dolore: «Il possibile d’una donna brutta è talmente stringente da far mancare il fiato, da togliere quasi tutta la vitalità. Si tratta d’esistere sempre sommessamente, nella penombra. In punta di piedi, sempre ai bordi della periferia sociale, dov’è difficile guardare in faccia la realtà. Io sono brutta, decisamente brutta, sono una donna transgenere. Sono un’offesa al mio genere, un’offesa al genere femminile. Non faccio neppure pietà, neppure questo».

La sospensione e il licenziamento: discriminazione e assenza delle istituzioni

Cloe Bianco aveva deciso di intraprendere il percorso di transizione nel 2015, all’età di 50 anni. Al tempo, era un insegnante di laboratorio dell’Istituto Scarpa di San Donà di Piave, di nome Luca Bianco. Si era dunque presentata a scuola indossando abiti femminili, illustrando la propria decisione. Ciò le era costato la sospensione dal lavoro per tre giorni: una studentessa aveva riferito l’accaduto al padre, il quale aveva scritto all’assessora Elena Donazzan (Assessora Regionale di Fratelli d’Italia all’istruzione, formazione, lavoro e pari opportunità del Veneto). L’assessora definiva la situazione e la personale decisione di Cloe Bianco così: «una carnevalata. Ma davvero la scuola si è ridotta così?». La docente procedeva ad impugnare la sospensione illegittima, ma riceveva responso negativo alle proprie istanze. Il presidente del tribunale del lavoro di Venezia, pur «senza voler criticare una “legittima scelta identitaria”, sognata da Bianco dall’età di 5 anni», stabilì che la sospensione di tre giorni inflitta dalla scuola al prof «era stata giusta» perché l’outing in così breve tempo, senza preparare adeguatamente le scolaresche non era stato «responsabile e corretto». Successivamente, era arrivato anche l’allontanamento definitivo dall’insegnamento, il lavoro che Cloe Bianco aveva sempre svolto con diligenza e competenza. Da quel momento in poi, la donna era stata relegata a lavorare, nonostante le sue competenze di livello maggiore, nelle segreterie di vari istituti della provincia di Venezia.

Una storia di emarginazione, diritti negati e solitudine inaccettabile

Cloe Bianco, dopo l’ultima nomina annuale nella segreteria didattica al Giordano Bruno di Mestre, si era isolata. Come si è detto, Cloe aveva deciso di tenere un blog a seguito della sospensione, del licenziamento e del demansionamento, nel quale raccontava e descriveva tutti i risvolti della situazione, allo scopo di mettere in luce le discriminazioni subite: «Essere una persona fuori dai canoni diffusi, dai modi comuni del vivere, ossia fuori da quello ch’è ritenuto giusto in una data società in uno specifico periodo temporale vuol dire incarnare ciò che non si deve essere, con le fin troppo ovvie conseguenze di rifiuto date dalle scelte ritenute, dalle altrui persone, scandalose, inaccettabili, non condivisibili». Una sofferenza che viveva, pur descrivendo se stessa come una «persona transgenere che ha un’indiscussa considerazione positiva per la transgenerità autodeterminata e depatologizzata, per cui ha un indiscusso amore per questa sua caratteristica». Il Ministro Federico D’Incà si è espresso sulla vicenda della ex docente veneziana con apposito comunicato, evidenziando quanto segue: «Una storia terribile che impegna ognuno di noi a non voltarsi dall’altra parte e a lavorare per costruire un Paese realmente inclusivo e senza pregiudizi. Una storia di sofferenza, emarginazione, diritti negati e solitudine che nessuno è stato in grado né di capire, né di risolvere attraverso il sostegno e la comprensione di cui Cloe aveva chiaramente bisogno». L’auspicio è che «ognuno si senta libero di esprimere la propria sessualità e la propria affettività pienamente e senza alcuno stigma. Le mie condoglianze a tutte le persone che le volevano bene».

Per concludere, a Cloe sono mancati il sostegno e la comprensione della società cui il Ministro fa riferimento, e le istituzioni stesse sono state evidentemente carenti, per quanto concerne la tutela della donna: basti pensare alla sospensione, al licenziamento ed al demansionamento. Il fatto che Cloe Bianco non sia stata reintegrata nel posto di lavoro, non sia stata tutelata, sia stata definita una “carnevalata” (cit. assessora Donazzan), hanno fatto sì che la donna venisse emarginata, che si sentisse esclusa dalla società: il messaggio che è passato è stato negativo, giustificatorio delle discriminazioni in capo alla professoressa. Ed è tutto questo che ha condotto Cloe alla scelta di togliersi la vita, la consapevolezza di essere considerata qualcosa di diverso e di non meritevole di tutela da parte delle istituzioni e della società. Ciò appare più che vergognoso, e nel 2022 non dovrebbe essere ritenuto accettabile.

Stefania Piva

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Stefania Piva

About Stefania Piva

È nata e vive a Milano, laureata in giurisprudenza all’Università Statale di Milano, praticante avvocato presso l’Avvocatura dello Stato di Brescia. Da sempre appassionata di politica e giornalismo, ha scritto in precedenza per il giornale locale ABC Milano. Ama il trekking in alta montagna ed esplorare i fondali marini per districarsi fra lo stress cittadino e le udienze in tribunale!

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