Mentre le politiche di Germania e Francia paralizzano l’economia del vecchio continente, si aprono inediti scenari. Il rischio è quello di un’ulteriore destabilizzazione o, addirittura, di un’implosione dell’eurozona.
È ufficiale, dalla notte dell’1 luglio 2013 la Croazia fa parte dell’Unione Europea. Si tratta dal 28° Stato che, secondo i principi contenuti nel Trattato di Roma sancito nel 1957 e secondo un’etica tutta europea, adesso gode di un’adeguata democratizzazione e liberalizzazione della società. Il processo è durato dieci anni e ha visto l’emanazione di coraggiose riforme che hanno stravolto la politica interna della società croata per permetterle di vantarsi di appartenere alla bandiera sovranazionale blu con stelle dorate.
Non sono mancati i festeggiamenti, tenutisi nella capitale, Zagabria, dello Stato ex jugoslavo. Si sono riversate in strada 30.000 persone e hanno partecipato 170 ospiti stranieri nelle vesti di presidenti, ambasciatori, ministri e dirigenti dell’upper class degli Stati facenti già parte dell’UE. A rappresentare l’Italia sono stati presenti il Presidente della repubblica Giorgio Napolitano e il ministro degli Esteri Emma Bonino. Si sono esibiti, inoltre, in 700 tra artisti, musicisti, cabarettisti e ballerini. Il Paese è stato presentato al “club europeo” come uno Stato che per Storia, cultura e tradizione ha fatto sempre parte dell’Europa e, quindi, che non poteva restarne escluso sulle carte.
Sul versante economico, già dalla mezzanotte del 30 giugno i ministri croati della Finanza hanno abolito i dazi doganali e sono stati issati ai confini con gli Stati stranieri dei cartelli con su scritto «Unione Europea.» Sempre dopo la mezzanotte, il presidente croato Ivo Josipovic ha tenuto un discorso al proprio popolo: «Questo giorno ci dà una nuova speranza e ci apre nuove opportunità che potremo realizzare se ci impegneremo tutti insieme». Assenti, però, i riferimenti al traumatico passato, in quanto la Croazia è la seconda delle sei repubbliche che componevano l’ex Jugoslavia socialista. Va ricordato, oltre a ciò, che l’indipendenza della Croazia è stata raggiunta soltanto nel 1991, anno a cui è seguita la guerra con la Serbia che ha portato il numero delle vittime croate a 22.000, spazzando via quasi un’intera generazione. Ma è nel 2005 che iniziano i negoziati di adesione con Bruxelles, mentre il Trattato di adesione all’Unione Europea è la conseguenza di un referendum del 2012 su base popolare, attraverso cui il 66% dei croati si è mostrato favorevole. Dopo la ratifica formale degli altri 27 Paesi membri, si è proceduti con l’adesione totale al sistema economico europeo. Questo non di poco preoccupa i cittadini più critici, dal momento che le leggi europee sono parecchio rigide in fatto di economia e presentano vincoli e restrizioni con cui tutti gli Stati aderenti all’Unione devono confrontarsi. Se da un lato perciò si festeggia, dall’altro la preoccupazione di una “catarsi” troppo rapida dalla guerra balcanica sta dietro l’angolo. La Croazia è in recessione da circa cinque anni, 300.000 persone sono senza lavoro (ovvero il 20% della popolazione), il debito pubblico croato è al 54%, il PIL è troppo basso. Se si esamina l’entrata della Croazia nell’Unione Europea da un altro punto di vista, è facile comprendere come questo nuovo ingresso sia anche il frutto di una politica europeista d’espansione che punta ad un riassetto del bilancio dell’ente sovranazionale.
Alberto Molino
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Fondatore di Voci di Città, ex direttore responsabile dello stesso, ora cura la rubrica di tecnologia di NewSicilia, ha lavorato al Quotidiano di Sicilia, ha collaborato con Sicilia Journal, ha pubblicato un romanzo e un racconto, ha 26 anni ed è laureato in Scienze della Comunicazione. Quando ne aveva 18 ha vinto un premio nazionale per avere diretto il migliore giornalino scolastico del Paese. Definito da alcuni fascista e da altri comunista, il suo vero orientamento politico non è mai stato svelato, ma una cosa è certa: Molino non lo ferma nessuno, tranne forse la sua ragazza.