CATANIA – Cos’è il pettegolezzo? Secondo Antonia Cava, docente e ricercatrice di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università degli Studi di Messina e ospite dell’evento Il rumor o il gossip sono notizie? La narrazione del pettegolezzo tra radio, TV e social, è «una sorta di micro-architettura narrativa da cui si generano interazioni sociali rilevanti». Cava vuole dire che nel violare la privacy di determinati soggetti, gli individui imbastiscono legami, stringono amicizie e aderiscono a taciti accordi che hanno come fine ultimo l’annientamento della “maschera” delle persone prese di mira. La televisione sfrutta tale logica, non c’è niente che affascini di più gli spettatori quanto la narrazione della vita privata. Nei talk show ognuno dice la sua, ci si diverte a chi la spara più grossa e i diversi “attori”, tra la pluralità dei racconti, propongono l’interpretazione a loro più congeniale.
Emblematici sono i faits divers, ovvero le storie di sangue della cronaca nera, «redatta come un perpetuo “Mille e una notte” […] con in più la nozione, sempre presente, che si tratta di fatti veri», secondo una celebre definizione di Antonio Gramsci. Tra gli esempi italiani il delitto di Cogne, la strage di Erba, l’omicidio di Sarah Scazzi, il caso di Yara Gambirasio, trasfigurati in vere e proprie detective stories dallo sciacallaggio mediatico che, ovviamente, non andando di pari passo con i tempi giudiziari dei processi, inventa false piste, propone colpevoli, assicura di continuo nuovi indizi e alimenta le aspettative del pubblico il quale, non trovandosi di fronte a una narrazione chiusa, resta catturato dalla suspense. In simili racconti non mancano mai due elementi: eros e thanatos, amore e morte, spettacolarizzati fino al parossismo non per adempiere ai doveri di cronaca, ma per mutare in infotainment, neologismo anglosassone nato dalla somma di “informazione + intrattenimento” e indicante, pertanto, la commistione di più generi all’interno del panorama massmediale. La stessa cosa si verifica in politica, ambito al cui interno non si predilige più la forza delle idee, ma la carica evocativa delle immagini.
E sono proprio le immagini a stare al centro della tesi di Francesco Pira, giornalista e docente di Comunicazione e giornalismo presso l’Università degli Studi di Messina. Secondo l’esperto, la vita delle persone è stata stravolta non tanto dall’avvento dei social media, ma dall’uso che se ne fa. Lo storytelling, l’atto del narrare, ha perso profondità, non segue più i percorsi logici della mente, si nutre soltanto di estetica. Ogni evento è postato, linkato, pubblicato quasi all’istante, senza che prima venga metabolizzato da chi lo esperisce. Ne deriva che, soprattutto per i giornalisti, «si è perso il senso della notizia». Negli Stati Uniti, alcuni reporter cominciano a essere pagati in base al numero dei like; questo pone un problema deontologico: non si può valutare la qualità di un articolo basandosi semplicemente sulla quantità degli apprezzamenti. Molte persone, appartenenti a masse rozze e volgari, non hanno gli strumenti cognitivi per godere – come sosteneva già Walter Benjamin nel 1936 all’interno del suo saggio Il narratore – di storie lunghe, a tratti insondabili, dotate di una morale afferente al senso della vita, ma riescono solamente a leggere, a recepire, ciò che è stato semplificato e abbreviato, mortificando di fatto il pensiero narrativo e l’informazione. In conclusione, vince il fascino carismatico delle immagini.
«Non c’è da stupirsi – chiude Daniele Lo Porto, segretario provinciale dell’Assostampa Catania – se l’Ordine dei Giornalisti ha sanzionato Barbara D’Urso. Il suo non è giornalismo, ma un uso strumentale della cronaca per dare vita alla spettacolarizzazione dei sentimenti, dunque del pettegolezzo».
Alberto Molino
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Fondatore di Voci di Città, ex direttore responsabile dello stesso, ora cura la rubrica di tecnologia di NewSicilia, ha lavorato al Quotidiano di Sicilia, ha collaborato con Sicilia Journal, ha pubblicato un romanzo e un racconto, ha 26 anni ed è laureato in Scienze della Comunicazione. Quando ne aveva 18 ha vinto un premio nazionale per avere diretto il migliore giornalino scolastico del Paese. Definito da alcuni fascista e da altri comunista, il suo vero orientamento politico non è mai stato svelato, ma una cosa è certa: Molino non lo ferma nessuno, tranne forse la sua ragazza.