È finalmente arrivato al cinema L’uomo d’acciaio, ennesimo reboot sulle gesta di Superman. A tessere i fili della regia è Zack Snyder che aveva già collaborato ne Il cavaliere oscuro con Christopher Nolan, qui in veste di produttore. La sceneggiatura, invece, è stata scritta David S. Goyer, anche lui collega di Nolan durante la direzione della trilogia su Batman. In realtà, laWarner Bros., che detiene i diritti dei personaggi della DC Comics, ha assunto di proposito un’equipe di nomi che già in passato hanno tutti fatto parte dello stesso “team creativo”; lo scopo era quello di dare vita ad un film molto diverso dalle pellicole di casa Marvel, più spettacolari e ironiche. Snyder, Goyer e Nolan hanno infatti puntato a creare la solita atmosfera fosca, quasi noir, che in qualche modo desse risalto all’introspezione del protagonista, cifra stilistica, oramai, dei nuovi film incentrati sui personaggi della DC. Il problema è che L’uomo d’acciaio è esagerato in ogni suo aspetto e questo rende la pellicola non solo scontata, ma assurda.
L’inizio non male, che mai in nessun altro film su Superman aveva dato così ampio spazio alle vicende di Krypton (il pianeta di origine di Kal-El, cioè Clark Kent), scema in un racconto a flashback confusi e acronici sull’infanzia dell’eroe. Troppa frammentarietà nella narrazione, un montaggio che lascia molto da ridire e, soprattutto, è evidente un uso eccessivo della computer grafica nella seconda parte del film, peraltro neanche ben curata. Sullo schermo compaiono scene rocambolesche in cui un Superman (Henry Cavill) poco espressivo si sfida con l’arcinemico Zod (Michael Shannon) sui pannelli solari di un satellite, per poi ripiombare a terra e fracassare tutto senza il minimo graffio; o ancora, Lois Lane (Amy Adams) salvata in mezzo al caos di una Manhattan/Metropolis inverosimile dal Superman di turno che, per ironia della sorte, si accorge proprio di lei in caduta libera. Neppure la presenza del ritrovato Russell Crowe, nei panni del padre genetico di Clark Jor-El, riescono a dotare il film di quella verve della quale, al contrario, Nolan ha pervaso Il cavaliere oscuro, capolavoro indiscusso degli ultimi anni.
Alberto Molino
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Fondatore di Voci di Città, ex direttore responsabile dello stesso, ora cura la rubrica di tecnologia di NewSicilia, ha lavorato al Quotidiano di Sicilia, ha collaborato con Sicilia Journal, ha pubblicato un romanzo e un racconto, ha 26 anni ed è laureato in Scienze della Comunicazione. Quando ne aveva 18 ha vinto un premio nazionale per avere diretto il migliore giornalino scolastico del Paese. Definito da alcuni fascista e da altri comunista, il suo vero orientamento politico non è mai stato svelato, ma una cosa è certa: Molino non lo ferma nessuno, tranne forse la sua ragazza.