La crisi di governo, ormai in corso da parecchi giorni, è arrivata al suo triste epilogo. Il 20 luglio, alla votazione in Senato, l’ormai ex premier Draghi aveva ottenuto una risicata maggioranza di voti: i senatori presenti erano 192, quelli effettivamente votanti 133, i voti favorevoli sono stati solo 95. Dunque, a conti fatti, il governo aveva ottenuto una maggioranza di soli 67 voti. Troppo poco per pensare ad una solida prosecuzione dell’azione dell’esecutivo. Precisamente, Pd (Letta), Leu (Fratoianni), Ipf (Di Maio), Cambiamo (Toti) hanno votato la fiducia, mentre il M5s (Conte) si è astenuto (facendo in modo che si raggiungesse il numero legale necessario alla validità della votazione), i senatori di Forza Italia (Berlusconi) e della Lega (Salvini) erano invece assenti, manifestando la volontà di non sostenere il prosieguo dell’azione governativa Il dissenso del M5s era preannunciato da cinque giorni di crisi e dalle dichiarazioni di Conte, nonché dalla precedente votazione alla Camera, in esito alla quale il premier si era recato dal Capo dello Stato Mattarella per dare le proprie dimissioni, queste ultime rifiutate in quell’occasione dal Presidente della Repubblica. Invece, nella votazione in Senato dell’altro ieri, a sorpresa anche Lega e Forza Italia hanno deciso di non votare la fiducia, suscitando non poche polemiche esterne ed interne al partito. In particolare, molti storici colonnelli di Forza Italia hanno dichiarato la volontà di lasciare il partito, con disappunto di Berlusconi: Maria Stella Gelmini, ex Ministra dell’Istruzione e rappresentante di spicco di Forza Italia da decenni, Renato Brunetta, Ministro della Pubblica Amministrazione dell’attuale governo ed anch’egli esponente storico della forza politica, e Andrea Cangini, senatore di vecchia data, hanno affermato di dover fare questa scelta obbligata, dal momento che il partito non rispecchiava più ciò che era alla sua nascita ed avrebbe tradito i suoi storici valori, appiattendosi sul sovranismo delle altre componenti politiche della coalizione di centrodestra. Anche la Ministra Carfagna ha rilasciato una dichiarazione con cui fa presente le proprie perplessità per il contegno del partito, lasciando intendere la possibilità di una sua uscita.
Dunque, il 21 luglio, a fronte della risicata fiducia ottenuta in Senato, il premier Draghi ha tenuto il discorso alla Camera, nel quale esprimeva la volontà di dimettersi dall’incarico. Successivamente, si è recato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha deciso questa volta di accettare tali dimissioni. Mattarella, a seguito di consultazione con i Presidenti della Camera (Fico) e del Senato (Casellati), ha firmato il decreto di scioglimento delle Camere. Precisamente, Mattarella ha sottolineato che servano «Elezioni entro 70 giorni. Il momento che attraversiamo non consente pause su inflazione, Pnrr, pandemia e guerra in Ucraina». Nel suo discorso, il Presidente ha indicato un elenco di priorità, che il governo di scopo dovrà tenere in considerazione fino alla data delle elezioni: cita il Piano di ripresa europeo in relazione all’erogazione dei finanziamenti, opera un riferimento alla gestione della pandemia da Covid19, pone in rilievo il problema dell’inflazione e degli effetti che la guerra della Russia contro l’Ucraina ha determinato. Per riprendere le precise parole del Capo dello Stato: «Lo scioglimento anticipato del Parlamento è sempre l’ultima scelta da compiere, particolarmente se come in questo periodo, davanti alle Camere vi sono molti importanti adempimenti da portare a compimento nell’interesse del nostro Paese. Ma la situazione politica ha condotto a questa decisione». Dopodiché si è tenuta la riunione del Consiglio dei Ministri, nel corso della quale è stato comunicato ai Ministri che si andrà a votare in data 25 settembre. Alla luce di tutto ciò, il governo resterà in carica per svolgere tutti gli affari correnti ordinari. Dunque, come lo stesso Mattarella ha dichiarato, sarà necessario adottare «interventi indispensabili per fare fronte alle difficoltà economiche e alle loro ricadute sociali, soprattutto per quanto riguarda i nostri concittadini in condizioni più deboli. Indispensabili per contenere gli effetti della guerra della Russia contro l’Ucraina sul piano della sicurezza dell’Europa e del nostro Paese. Indispensabili per la sempre più necessaria collaborazione a livello europeo e internazionale. Per queste ragioni mi auguro che – pur nell’intensa, e a volte acuta, dialettica della campagna elettorale – vi sia, da parte di tutti, un contributo costruttivo, riguardo agli aspetti che ho indicato, nell’interesse superiore dell’Italia».
A fronte dell’epilogo della crisi, è pertanto definitivo che il 25 settembre i cittadini saranno chiamati ad eleggere i propri rappresentanti alle Camere. Si evidenzia però che queste elezioni presenteranno delle novità di non poco conto: a seguito della riforma operata, verranno eletti meno parlamentari, 600 (400 per la Camera e 200 per il Senato) invece che 945; inoltre, non sussiste più la soglia dei 25 anni per partecipare all’elezione del Senato, come invece accadeva prima della riforma, quindi tutti riceveranno le due schede. Per quanto riguarda i collegi elettorali, non vi sarà necessità di ridisegnarli, poiché erano stati definiti alla fine del 2020 e resteranno validi. Alla luce di tutto ciò, i partiti si stanno già preparando al voto, definendo la campagna elettorale.
Hanno già preso la parola alcuni esponenti dei partiti che hanno voluto la crisi di governo, fra i quali Salvini, che ha dichiarato che le priorità del centrodestra, qualora venisse eletto, saranno: «riforma delle pensioni, pace fiscale, il tema della sicurezza, baby gang ovunque, sbarchi continui non solo a Lampedusa. Sull’assunzione delle forze dell’ordine, sulla certezza delle regole, sulle espulsioni per chi non merita saremo assolutamente intransigenti». Per quanto riguarda il M5S, Giuseppe Conte ha pubblicamente detto che «il M5s è una forza “oggettivamente progressista” perché guarda a giustizia sociale, transizione ecologica e digitale. Chi vuole lavorare su queste misure, può ritrovarsi a condividere con noi, o a confrontarsi con noi. Poi spetterà al Pd fare le sue scelte». Enrico Letta ha invece rilasciato un‘intervista alla BBC, nella quale ha usato parole dure per definire l’accaduto: «Credo che sia stata una vergogna, l’Italia è stata tradita perché quei partiti che hanno deciso di non votare la fiducia al governo lo hanno fatto soltanto per interessi egoistici».
Stefania Piva
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È nata e vive a Milano. È Avvocato, laureata in giurisprudenza all’Università Statale di Milano, ha svolto la pratica forense presso l’Avvocatura dello Stato di Brescia, e si è specializzata presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell’Università Statale di Milano. Da sempre appassionata di politica e giornalismo, ha scritto in precedenza per il giornale locale ABC Milano.