Oggi si è tenuta la seconda udienza del processo ad Alessandro Impagnatiello, per l’omicidio di Giulia Tramontano, sua ex compagna al settimo mese di gravidanza. Samanta Barbaglia e Giulia Geradini, le sue Avvocate, gli hanno posto svariate domande, mediante le quali Impagnatiello ha ricostruito gli ultimi mesi del suo rapporto con Giulia e la scoperta da parte della vittima della relazione parallela con la collega di lavoro. In particolare, l’uomo ha dichiarato: «Svelare a Giulia che la tradivo è stato l’ennesimo sintomo che la mia testa stava impazzendo. Questo non vuol dire che ero pazzo, ma ero un vaso saturo di bugie e menzogne e non ero abituato a dire bugie. Era come se fosse strabordato qualcosa, come se dovessi svuotarlo perché qualcosa mi mangiava dentro», ha detto il 31enne. Inoltre ha detto: «Non so perché ho confessato il tradimento, così come non so perché permettevo all’altra ragazza di vedere il mio cellulare dove c’era tutta la mia vita con Giulia». Ha poi parlato del suo rapporto con il primo figlio, avuto da un’altra donna e che vive con la madre: «Era come il fratellino che non avevo mai avuto», ha detto rispondendo alle domande dei difensori. Impagnatiello ha raccontato anche del suo progetto di andare a vivere con Giulia in Spagna alle Canarie «entro cinque anni». Alla domanda della difesa relativa a se durante la vacanza in Spagna aveva sentito l’altra ragazza con cui aveva una relazione parallela, il 31enne ha risposto: «No. Le dissi che andavo con amici. L’ennesima menzogna. Le dissi che non volevo sentirla. Infatti i primi giorni di vacanza mi scriveva ma io non le rispondevo. Mi ero dimenticato di lei in quei giorni. Non la cercavo, non le scrivevo, non le rispondevo. Allontanarmi da lei in quella occasione mi riuscì. Poi purtroppo tornammo a Milano e ricaddi». Al che la pm Alessia Menegazzo ha domandato: «È sicuro di quello che ha raccontato? Perché le copie forensi raccontano altro. In tre giorni troviamo oltre 500 scambi tra foto e messaggi». E lui: «Sì è vero, mi scriveva, mi cercava, io tardavo a risponderle, mi ero distanziato moltissimo da lei. Per esempio la foto del mare, ma era un rispondere ai dieci, venti messaggi che mi mandava, era una cosa minuscola rispetto al nostro standard».
La parte prevalente del processo ha però avuto ad oggetto l’audizione dei consulenti della difesa e dalla parte civile, ai fini della valutazione dell’esperimento della perizia psichiatrica chiesta dalla difesa. Per primi sono intervenuti i consulenti della difesa, la dott.ssa Branciforti e il dott. Rossetti. La prima ha illustrato il motivo della scelta di impiegare determinati test clinici piuttosto che altri, per poi dire a quali conclusioni fosse arrivata: «Dalla somministrazione dei test clinici, Impagnatiello ha dei tratti di personalità di tipo paranoide e ossessivo». La consulente della difesa ha dichiarato che ritiene che il comportamento dell’imputato di tipo emotivo sia preponderante (valore numerico 108); inoltre ha evidenziato di aver rilevato la sussistenza di esperienze aberranti, che in linea di massimo si riscontrano a suo avviso laddove c’è una psicopatologia in corso (con valore > 65: l’imputato aveva un punteggio di 69), nonché emozionalità negativa. Altri tratti di personalità riscontrati dalla prima consulente sono stati la presenza di manie di persecuzione paranoidi, disfunzione emozionale, ma assenza di psicosi: «il voler controllare, le manie di persecuzioni, la paura di tutti… vive nella tensione assoluta, ma il pensiero cognitivo non è disturbato. Il disturbo è legato alla parte ossessiva».
Il dott. Rossetti, secondo consulente della difesa, ha aggiunto che Impagnatiello ha dei tratti narcisistici, ossessivo compulsivi e paranoidi, che per le vicende di vita si sono amplificati, e l’hanno portato a commettere l’omicidio. «L’attività lavorativa l’ha portato ad interloquire con la società del benessere (personaggi delllo spettacolo o famosi a cui dava del “tu”), tutto questo è stato amplificato dal fatto che ha iniziato ad avere una relazione con una collega che era la nuova arrivata, tirocinante concupita da tutti (la bella di turno), che lui è riuscito a conquistare con un tocco di narcisismo ulteriore rispetto all’attività lavorativa. Questo l’ha portato ad avere una relazione con la collega all’insaputa della vittima ed a godere ossessivamente del tenere in saldo due donne narcisisticamente, anche creando certificati di gravidanza falsi. Impagnatiello mi ha descritto l’immagine di una scacchiera: lui si sentiva lo scacchista che doveva tenere sotto controllo tutti i componenti della scacchiera, e questo gli riusciva a costo di dire bugie e balle. Ad un certo punto, una delle pedine della scacchiera si sarebbe eliminata autonomamente (Allegra sarebbe partita): questo lo rasserenava perché non era lui che non sapeva gestire la pedina, ma era la pedina che si eliminava da sola. Lo smascheramento gli ha lasciato una ferita narcisistica profonda, che l’ha lasciato completamente scoperto: non ha resistito alla ferita narcisistica legata al fatto che le due donne si fossero parlate, su iniziativa di una delle due pedine (Allegra), e ha scatenato la furia omicida». Alla luce di ciò, il secondo consulente della difesa ha concluso dicendo che, secondo lui, Impagnatiello sarebbe provvisto di un aspetto paranoide, tale da fargli pensare che non fosse lui ad essere un “narciso”, ma che fosse Giulia a scatenare in lui quello, insieme alla ferita narcisistica nel luogo di lavoro: quest’ultima ha amplificato il suo tratto narcisistico di uomo seduttore. Nonostante ciò, il consulente di parte ha detto che, pur avendo un senso distorto della realtà, riesce a pensare lucidamente, ed è in grado di architettare: «Pure chi delira può avere un pensiero lucido che consente di avere un piano criminoso lucido. Anche il fatto di avere ingravidato due donne contemporaneamente lascia desumere una mascolinità tossica. Non c’è premeditazione ma neanche amnesia».
La prima consulente della parte civile, psichiatra con 25 anni di esperienza, che ha svolto ricerca su questi temi all’Università Federico II di Napoli (66 progetti), ha evidenziato che la consulente della difesa ha utilizzato due test di personalità, a suo avviso erroneamente: i testi si usano quando si dà per scontato che la persona sia affetta da disturbo psichiatrico, escludendo un discorso di esplorazione psicodiagnostica. «L’esplorazione della vita mentale della persona dovrebbe richiedere un test che riguardi lo stile cognitivo (ed esistono questi test), emotivo affettivi e di personalità. Mettendo insieme queste tre caratteristiche si può tentare di avere una silhouette della personalità. Quindi i test usati dalla consulenza della difesa sono inidonei, la diagnosi di un disturbo di personalità richiede un’osservazione prolungata nel tempo, avrei fatto osservazione delle altre due caratteristiche. Avrei usato un test che ha 9 scale di validazione interna, dato che l’imputato ha una tendenza alla menzogna. Sarebbe stato preferibile quest’altro test, quello usato dalla difesa ha una dimensione di valutazione ridotta. Il test può comunque essere inficiato dal fatto che il soggetto risponda in maniera non veritiera. Non si riscontrano punteggi tali da indicare la presenza di una psicopatologia. “Sospettosità paranoide” non esiste in senso scientifico, ma anche nei comportamenti non c’è delirio né allucinazione che sono le due caratteristiche produttive psicotiche. In assenza di queste due, la consulente della difesa parla di “lucido delirio”, che è contestabile, perché il delirio comporta una parte cognitiva che è relativa al pensiero, che pare non sia mai venuta meno nella programmazione ed esecuzione del delitto. Ritengo che non ci sia un disturbo di personalità borderline, dovrebbe presentare aspetti clinici che non riscontro. Ho visto e rivisto i filmati, perché mi sono imposta di verificare: quello che emerge è una lucidità e una sistematicità nell’eseguire e nello svolgere anche successivamente ciò che è stato fatto. Se c’è un vizio parziale di mente non si può organizzare tutto questo. La tendenza a psichiatrizzare quando ci sono comportamenti violenti, soprattutto quando un omicidio solleva emotività, quando si attivano meccanismi di difesa anche per noi che ci troviamo di fronte a cose di questo tipo, le si giustifica dicendo “non può essere malato di mente?”, non va bene. È un insulto per i malati psichiatrici veri. Gli omicidi sono compiuti da malati mentali solo nel 2% dei casi».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articoli di proprietà di Voci di Città, rilasciati sotto licenza Creative Commons.
Sei libero di ridistribuirli e riprodurli, citando la fonte.
È nata e vive a Milano. È Avvocato, laureata in giurisprudenza all’Università Statale di Milano, ha svolto la pratica forense presso l’Avvocatura dello Stato di Brescia, e si è specializzata presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell’Università Statale di Milano. Da sempre appassionata di politica e giornalismo, ha scritto in precedenza per il giornale locale ABC Milano.