Alle 10 di oggi, Alessandro Impagnatiello ha fatto il suo ingresso nell’aula della Corte d’Assise di Milano, ad un anno esatto dalla morte di Giulia Tramontano, all’epoca dei fatti sua fidanzata, incinta al settimo mese di gravidanza, da lui uccisa. Si è presentato con la barba lunga, una maglia bianca e dei jeans. Il Pubblico ministero, la dott.ssa Tiziana Mannella, ha proceduto ad interrogare l’imputato, nel corso di un tour de force durato fino alle 17.30, con una sola pausa dalle 13.50 alle 14.45. Sono state molte le contestazioni e le domande: all’inizio, la pubblica accusa ha contestato il cambio di versione ad Impagnatiello, in riferimento a quanto aveva in precedenza dichiarato ai carabinieri, al momento dell’arresto. In particolare, l’imputato aveva all’epoca dichiarato di non aver aggredito Giulia Tramontano, e che nel corso di una lite la donna avesse iniziato a sferrarsi delle coltellate da sola, allo scopo di uccidersi, dicendo «Non voglio più vivere», chiedendo l’aiuto dell’imputato, che avrebbe (secondo la sua prima versione) sferrato 2/3 coltellate a Giulia, su sua richiesta per aiutarla a farla finita. In aula oggi, Impagnatiello ha ritrattato, dicendo che invece Giulia si era tagliata un dito mentre tagliava le verdure in cucina, e di aver lavato il coltello per poi sferrarle le svariate coltellate. Alla luce di tutto ciò, si è dichiarato colpevole: «Ha ucciso Giulia Tramontano e provocato l’interruzione della gravidanza?», «Sì».
A quel punto, su domanda della Pm, Impagnatiello ha raccontato la dinamica dell’omicidio: «Giulia è entrata in casa e c’era un clima distaccato. Abbiamo parlato un quarto d’ora senza toni accesi. In quel momento lì non potevo trovare più giustificazioni, non potevo più trovare altre verità. Giulia era la mia vita, mi disse che se ne sarebbe andata via di casa, che sarebbe tornata a Napoli e che io di quel bambino non avrei mai più avuto notizia, non avrei mai saputo se avesse avuto gli occhi chiari o castani. Tirava fuori la realtà dei fatti nel confermarmi che la nostra relazione era finita e che non avrei mai visto il bambino. Così, ha distrutto definitivamente ogni mia ancora di salvataggio, ogni appiglio a cui potere aggrapparmi». «E a quel punto cosa fece?», chiede la dott.ssa Mannella. «Andai di nuovo in doccia, siamo intorno alle 19.20-19.25. Poi, cercai di mangiare qualcosa, un panino, qualcosa di pronto. Non avevo appetito era soltanto per tenermi occupato. Ho lasciato spazio a Giulia in cucina, lei era in camera da letto, erano le 19.35. Io ho girato per casa, poi mi sono stabilizzato in sala. Giulia stava preparando qualcosa per sé, io ho udito un piccolo lamento, stava tagliando un pomodoro: si era fatta male a un dito. In un cassetto nella parte bassa della sala c’erano i cerotti e lei è andata verso quel cassetto. Le ho domandato cosa si fosse fatta, non mi ha detto nulla. Continuava a non rispondermi come se non esistessi, era ciò che lei provava in quel momento. Ero invisibile ai suoi occhi. Mentre lei era abbassata verso il cassetto, io ero in piedi. Sono rientrato in cucina e ho visto che c’era un coltello. Mi sono posizionato immobile alle spalle di Giulia in attesa che si rialzasse. L’ho colpita. La colpii al collo. Non ho mai saputo quanti fossero i fendenti, l’ho saputo da un servizio televisivo. Ho accoltellato Giulia nella sala, davanti al mobile della tv. Era frontalmente verso di me. Tutto è avvenuto prima delle 20». La Pm lo incalza: «Giulia ha tentato di difendersi?», Impagnatiello risponde «Non ce n’è stata l’occasione». Passa poi ad illustrare l’occultamento del cadavere: «Dopo l’omicidio avvolto da uno strato di insensata follia, con azioni illogiche tentai di fare sparire il corpo di Giulia cercando di dare fuoco al cadavere nella vasca da bagno. Ho trascinato il corpo dalla sala alla vasca». Non riuscendo nel suo intento, Impagnatiello spiega di aver spostato il cadavere dalla casa alla cantina: «Era come se una parte di me cercasse aiuto, cercasse di essere vista da qualcuno. Perché ho spostato il suo corpo attraverso quattro rampe di scale, in una palazzina abitata da molte persone. Era come se sperassi che qualcuno mi vedesse, un vicino di casa, qualcuno che portava la spesa, come se volessi che qualcuno mi fermasse, mi scoprisse».
La pubblica accusa ha poi proseguito, chiedendo conto all’imputato Impagnatiello dei messaggi dal contenuto inquietante, alla luce dell’accaduto, inviati all’amante Allegra. Nello specifico, l’uomo aveva detto all’amante poco dopo il delitto «Non ci sono più ostacoli al nostro amore», come riferito dalla donna, che era rimasta alquanto turbata dalla frase. Impagnatiello ha negato di aver mai detto quanto risulta. Successivamente, gli sono state contestate le operazioni di depistaggio messe in atto nei confronti degli inquirenti e della famiglia, subito dopo il delitto: infatti, Impagnatiello aveva chiesto informazioni e aiuto ad amiche di Giulia, alla famiglia di Giulia, mostrandosi preoccupato e paventando un allontanamento volontario della donna, ipotizzando una sua fuga in Francia. In merito a questi falsi indizi forniti agli inquirenti e alla famiglia della vittima, Impagnatiello ha dichiarato che non era sua intenzione depistare nessuno, e che: «Stavo vivendo una scissione tra il mio corpo e la mia anima, attendevo che squillasse il telefono e che fosse Giulia. Mi chiedevo cos’è successo, dove mi trovo, chi sono».
Si è passati alla questione relativa al topicida somministrato da Impagnatiello alla Tramontano, peraltro incinta. Dall’autopsia risultava che fosse stato somministrato per l’appunto veleno per topi, in maniera esponenziale, in quantità crescenti. Impagnatiello ha negato di averlo fatto in maniera crescente, nonostante l’esito dell’autopsia e le indagini del perito, dunque la Pm ha posto la domanda: «Come si spiega la difformità rispetto all’esito dell’autopsia, che negli ultimi mesi il veleno risultava di più?». Nonostante l’evidenza scientifica, l’imputato ha continuato a negare, suscitando l’intervento della Presidente della Corte: «Veramente l’autopsia dice cose completamente diverse da quelle che dice lei: i valori attestavano una risalente somministrazione, crescente». Al che Impagnatiello ha riposto «Le somministravo un singolo grammo, un chicco di topicida nel sonno, mentre Giulia dormiva, ma assolutamente non per recare danno a Giulia, non volevo fare del male a Giulia, volevo colpire il bambino. Nel letto, le mettevo il veleno in bocca». Anche riguardo a questa affermazione, è stata fatta notare un’incongruenza rispetto a quanto dichiarato in precedenza, dal momento che aveva affermato di somministrare il topicida in un bicchiere d’acqua. A quel punto, la Presidente della Corte ha chiesto chiarimenti in merito, poiché appariva poco verosimile che si potesse pensare di avvelenare qualcuno senza mettere in conto di potergli fare del male, ed Impagnatiello ha risposto così: «Il mio scopo era colpire il bambino con il veleno, lo facevo in uno stato di annebbiamento, mi davo dei pizzicotti per risvegliarmi da questo annebbiamento dopo che le davo il veleno». Infine, quando gli viene fatto presente che Giulia sosteneva con la sua famiglia di percepire nell’ultimo periodo un’alterazione di sapori, risponde che le alterazioni erano dovute alla gravidanza, citando un episodio.
La Pm ha contestato all’imputato le ricerche effettuate attraverso i suoi device, riguardanti «cloroformio», «i cinque tipi di veleno più letali» «ammoniaca feto »e altri veleni. In merito al cloroformio, Impagnatiello ha dato delle curiose spiegazioni: «Volevo assemblare in casa un acquario per meduse, per questo ho comprato il cloroformio, per incollare le lastre di plastica, con un account non a mio nome, con un nome inventato». All’udire tali parole, la pubblica accusa ha evidenziato che però nessun acquario di meduse sia mai stato trovato in casa sua. Al che Impagnatiello ha proseguito: «Andai a curiosare notizie sul cloroformio, così come in passato avevo fatto ricerche anche su bombe carta, non per questo però sono una persona che voleva costruire bombe carta». Per quanto riguarda invece la ricerca «ammoniaca feto», l’imputato ha dichiarato di aver effettuato quella ricerca perché Giulia, incinta, sosteneva di sentire un odore di ammoniaca, magari dovuto alle pulizie.
La Pm pone ad Impagnatiello una domanda centrale: «Perché ha ucciso Giulia Tramontano?». L’uomo risponde «Non lo so, non avrò mai una risposta». A questo punto, la pubblica accusa contesta all’imputato quanto affermato nell’interrogatorio di garanzia, precedentemente, davanti al Giudice per le Indagini Preliminari, che gli aveva posto la medesima domanda: «L’ho deciso senza motivazione. La situazione era per me stressante, non c’è un reale motivo». Al sentirsi leggere le sue precedenti parole, l’uomo replica «Non ci sarà mai un motivo per tanta violenza, specialmente nei confronti di Giulia. Parlo dello stress legato al portare avanti due vite completamente opposte». La Pm quindi lo incalza «Chiedo scusa, ma allora lo stress poteva venire meno perché entrambe le donne avrebbero fatto un passo indietro: Allegra Stabile le aveva detto “io vado in Toscana”, e lei aveva riferito che aveva avvertito questa sua affermazione come una sua volontà di lasciarla. Giulia in più occasioni aveva tentato di lasciarla, l’8 maggio e il 25 maggio, quindi non riesco a comprendere questa situazione di stress. In fondo si andava realmente a risolvere la situazione di stress relativa al mantenere questo doppio gioco con queste due donne». Impagnatiello quindi conferma «Sì, questa situazione si stava automaticamente risolvendo, Allegra se ne stava andando, ma non come se mi stesse lasciando, questo perché io e Allegra non siamo mai stati insieme, è stata una relazione prettamente carnale e fisica, non mentale. Lei stava togliendosi lei da sola dalla mia quotidianità, avrebbe trovato una soluzione con la sua decisione di andarsene. Per quanto riguarda Giulia, nonostante le due discussioni di inizio maggio e del 25 maggio, io e Giulia non ci saremmo lasciati». «Ma Giulia si era organizzata per tornare dalla sua famiglia a Napoli, aveva detto che vi sareste lasciati. Se una donna dice “non voglio più stare con te” è una decisione unilaterale, non è un contratto. Perché “non ci saremmo lasciati”?»; ed Impagnatiello risponde: « Giulia non sarebbe tornata giù, erano solo parole, stavamo andando a provare i passeggini».
Come ultima domanda, la Pm chiede ad Impagnatiello di datare una lettera dal contenuto insolito, che egli aveva scritto a Giulia, della quale viene data lettura in aula: «Sono in balcone, tra poco inizierò a cucinare. Giuletta, io non ti farei mai nulla, mi dispiace molto per la rabbia, per la discussione. Non so, forse ora mi consideri falso, non credi ad ogni singola parola che dico, non ti sei mai fidata di me, eppure ti ho sempre mostrato concretamente ogni singolo giorno ciò che provo e i sacrifici che faccio, e tutto ciò che posso fare per renderti le cose più facili. Io ti amo, e quando dico che darei la vita per te, è perché io lo credo. Purtroppo o per fortuna non si è ancora presentata l’occasione per dimostrarti che darei la mia vita per fare continuare la tua. A questo punto, mi viene da dire che vorrei arrivasse quell’occasione, così definitivamente toglierei ogni dubbio». Impagnatiello non riesce a collocare temporalmente la lettera, si limita a dire che pensa sia stata da lui scritta nel 2022.
Stefania Piva
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articoli di proprietà di Voci di Città, rilasciati sotto licenza Creative Commons.
Sei libero di ridistribuirli e riprodurli, citando la fonte.
È nata e vive a Milano. È Avvocato, laureata in giurisprudenza all’Università Statale di Milano, ha svolto la pratica forense presso l’Avvocatura dello Stato di Brescia, e si è specializzata presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell’Università Statale di Milano. Da sempre appassionata di politica e giornalismo, ha scritto in precedenza per il giornale locale ABC Milano.