“C’è ancora domani”, il nuovo film di Paola Cortellesi si sta confermando un vero e proprio successo: uscito nelle sale lo scorso 25 ottobre, nel giro di qualche settimana ha superato il milione di spettatori, risultando il film italiano più visto dell’anno. Si tratta di un risultato sorprendente, anche per la stessa regista esordiente, che non si aspettava un successo di questa portata. Sempre per C’è ancora domani, la Cortellesi era stata qualche giorno prima insignita di tre importanti premi alla Festa del Cinema di Roma: premio del pubblico, premio speciale della giuria e menzione speciale “migliore opera prima”. A tal proposito, la regista e attrice aveva dichiarato «Ho avuto l’onore di aprire la Festa del Cinema della mia città e andava già bene così. Sono quindi ancora più felice di ricevere oggi questi riconoscimenti! Sono felice che giuria e pubblico si tendano la mano».
C’è ancora domani è sicuramente un film che scuote le coscienze. Chiunque sia stato al cinema a vedere l’opera di Paola Cortellesi non potrà dire di essere rimasto indifferente: fin dall’inizio, arriva allo spettatore come uno schiaffo a sorpresa. La protagonista è Delia, una donna romana sposata con Ivano (Valerio Mastrandrea), col quale ha avuto tre figli, che nel 1946 vive i cambiamenti del periodo post-bellico. Oltre al particolare momento storico, connotato da forte povertà economica, la donna è costretta a subire i quotidiani maltrattamenti, fisici e psicologici, del marito, che incarna in tutti i sensi l’emblema del “padre-padrone“, violento e despota nei confronti di moglie e figli. Ogni giorno Delia si ritrova a ricoprire molteplici ruoli, contemporaneamente: serva, moglie, madre, lavoratrice, vittima di soprusi. Appare chiara la routine: si sveglia, cucina per tutta la famiglia, lava, sistema la casa e va al lavoro (anzi, ai lavori, visto che ne svolge almeno quattro contemporaneamente), tra un ceffone e l’altro.
Lo spettatore si sente trasportato in un vortice di impotenza e rabbia: la totale assenza di tutela in ambito familiare e lavorativo per la donna dell’epoca, il fatto che quanto accadesse fosse considerato “normale” dalle vicine di casa, la rassegnazione della protagonista quando il datore di lavoro le risponde che un uomo il primo giorno di lavoro è pagato più di lei (che lavora lì da anni e insegna il lavoro al neoassunto) perché «Eh, ma quello è omo!», il continuo invito a stare zitta in quanto donna incapace di capire, suscitano un senso di sconforto e quasi incredulità. Basti pensare a quando il suocero Ottorino, parlando di Delia col figlio Ivano, fra un consiglio e l’altro su quanto picchiare la moglie per renderla più docile, dice «Eh, Delia è anche una brava donna di casa, ma il problema sai qual è? Che parla, deve imparare a starsi zitta!». Potremmo pensare che si tratti di una situazione confinata a quella specifica famiglia, povera e poco acculturata, ma la Cortellesi sapientemente sposta la lente d’ingrandimento, per rimarcare come la volontà di delegittimare la donna del diritto di esprimere un’opinione fosse usuale a tutte le classi sociali: anche nelle famiglie più ricche, dove le donne hanno in quel periodo la possibilità di accedere ad un’istruzione, i padri e mariti zittiscono le donne, estromettendole da discussioni su scelte familiari, politica, attualità, sempre con le stesse frasi universali. Delia vive in una società che la vuole zitta, banale, donna sempre uguale, donna per non capire, donna da sposare. Ma la società dell’epoca sta cambiando: è il 1946, le donne hanno finalmente la possibilità di esprimere la loro opinione con il voto, ed hanno la possibilità di non far rivivere alle proprie figlie le loro situazioni tossiche. Questo è un altro punto di forza di C’è ancora domani: la Cortellesi è stata in grado di evidenziare perfettamente anche il mutamento del pensiero di Delia in merito alle priorità. Infatti, mentre inizialmente la protagonista rivela all’amica Marisa di stare accantonando parte del denaro guadagnato (con i mille lavori che svolge) per acquistare un nuovo vestito da sposa per la figlia Marcella, dopo le numerose vicissitudini cambia idea e si rende conto che quel denaro sarà meglio investito nell’istruzione della figlia, in modo che non finisca per essere consegnata ad un nuovo marito-padrone e relegata nella prigione domestica, a fare da serva vita natural durante come lei.
Risulta evidente come C’è ancora domani trasmetta un messaggio sempre attuale. Seppure a primo acchito possa sembrare che certi comportamenti violenti all’interno della famiglia, nei confronti della donna e dei figli, non siano più considerati “normali”, sussistendo delle forme di tutela, ciò non deve trarre in inganno: sono ancora molti gli uomini che mettono in atto violenza fisica, verbale e psicologica, spesso mettendo in atto meccanismi patologici appresi dai loro padri durante l’infanzia. Dunque, è importante non dimenticare ciò che le nostre nonne e bisnonne hanno dovuto subire, senza possibilità di scelta, perché ciò che abbiamo ottenuto è dovuto alle loro lotte. Con questo film, la Cortellesi è stata magistralmente in grado di sottolineare come l’opinione delle donne debba contare, quanto sia costato ottenere il diritto ad aver voce in capitolo, quanto sia importante averla e mantenerla, sia fra le mura domestiche sia nella dimensione pubblica, col diritto di voto.
Stefania Piva
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È nata e vive a Milano. È Avvocato, laureata in giurisprudenza all’Università Statale di Milano, ha svolto la pratica forense presso l’Avvocatura dello Stato di Brescia, e si è specializzata presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell’Università Statale di Milano. Da sempre appassionata di politica e giornalismo, ha scritto in precedenza per il giornale locale ABC Milano.