Dal numero dei laureati a quello delle autovetture in circolazione, un occhio alla – lenta – crescita demografica e l’altro ai dati sull’occupazione. L’indagine realizzata dall’ISTAT e raccontata dalla giornalista Milena Gabanelli sul Corriere della Sera, ripercorre 60 anni di storia del nostro Paese. La firma dei trattati di Roma tra Italia, Francia, Germania Ovest, Belgio, Olanda e Lussemburgo nel 1957 come punto di partenza di un lungo viaggio fino ai giorni nostri e di fronte il grande punto interrogativo sulle sfide del futuro che ci attendono.
L’avvento della crisi nel 2008 ha delineato scenari nuovi in campo politico, economico e sociale, aprendo la strada a profeti dell’euroscetticismo e teorici dell’Europa a due velocità. Crolla la domanda interna e i consumi, avviene il blocco dei salari. Mario Monti, accademico, tra il 2011 e il 2013 guida un governo tecnico che mette in atto misure d’austerità con l’intento dichiarato di far quadrare i conti pubblici. Nel frattempo le imprese, “soffocate” dall’ordinamento fiscale da un lato e “intrappolate” tra le maglie della troppa burocrazia dall’altro, decidono di delocalizzare con conseguenze che si ripercuotono sul tessuto sociale e produttivo dello Stivale.
Quante volte ci siamo sentiti dire questa infelice espressione dal retrogusto decisamente amaro, eppure i numeri parlano chiaro. Se verso la fine degli anni Cinquanta eravamo tra i Paesi europei più giovani, con metà della popolazione che era composta per lo più da trentenni, adesso l’età media tocca quota 44,9, risultando tra le più alte d’Europa. Un quadro demografico non certo incoraggiante con effetti a cascata sul mercato del lavoro e sistema pensionistico. La fotografia di un Paese che (non) sta cambiando nonostante, ieri come oggi, il tasso di disoccupazione sia a doppia cifra e gli investimenti in ricerca e sviluppo restano un tabù da sfatare agli occhi di una classe politica miope e distratta.
Gabriele Mirabella
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