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La galassia Red Bull: quando il marketing cambia il calcio
02 Settembre 2016
BusinessEntertainmentSocietas

La galassia Red Bull: quando il marketing cambia il calcio

Home » Business » La galassia Red Bull: quando il marketing cambia il calcio

Lo sport più seguito al mondo, capace di muovere le masse e creare contrastanti emozioni a seguito di un semplice evento. È questo, in poche parole, il calcio, lo sport capace di unire, per la sua passione, le popolazioni africane a quelle europee, passando per il nuovo continente, l’Asia e persino l’Oceania. Quello che a molti sfugge, però, è che il calcio oggi è tutto fuorché un semplice sport: è marketing, è economia, è quanto di più lontano dai semplici valori sportivi e quanto di più vicino ai concetti di lucro, sfruttamento, denaro. È su questi principi che la Red Bull, ormai da qualche anno, si è avvicinata al mondo dello sport e, entrando più nello specifico, al mondo del calcio.

HARRISON, NJ - MARCH 16: New York Red Bulls looks on during the national anthem prior to their game against the D.C. United at Red Bull Arena on March 16, 2013 in Harrison, New Jersey. (Photo by Mike Stobe/Getty Images)

Perché diventare il main sponsor di una squadra quando ne puoi diventare il proprietario? Perché apporre il proprio logo nelle magliette di un club quando, di questo club, ne puoi comprare titoli e storia? È questo in parole povere e semplici il progetto della Red Bull, la più famosa società di energy drink al mondo, che investe il 30% del proprio fatturato in pubblicità per promuovere il proprio prodotto e i risultati, non c’è che dire, sono pregevoli. Sport estremi: hockey, Formula 1: chi non segue solo il calcio, insomma, il simbolo dei due tori lo vede in ogni dove.

La casa di Salisburgo, ciò nonostante, si è sempre conquistata numerose antipatie proprio per il fine ultimo dei suoi investimenti. Nessun attaccamento alla squadra, nessuna storia da voler dare a quel determinato sport. Solo pubblicità, solo un ritorno economico. E così poco importa se la Red Bull conquista quella disciplina, o ne diventa la massima espressione, perché alla fine dei giochi, l’odio verso gli austriaci sarà facilmente prevedibile. Dopo quattro mondiali vinti con il prodigio Sebastian Vettel, sulla stessa falsa riga della Formula 1 i due tori si sono lanciati pesantemente anche sul calcio, campo ancora inesplorato fino a una decina d’anni fa.

1280px-Red_Bull_Salzburg_23-10-2005Tutto parte dalla stessa città in cui l’azienda ha sede. Nel 2005 la storica squadra della capitale, l’Austria Salisburgo, viene totalmente stravolta nei simboli e nei colori. Immaginate, per un attimo, che un giorno arrivi la Red Bull e compri la vostra squadra del cuore: quei colori alla quale eravate legati, quello stemma ormai divenuto il vostro marchio di fabbrica, spariti del tutto, con i soli trofei conquistati ad arricchire la bacheca di una squadra praticamente nuova. Nel Paese nativo di Beethoven, però, il movimento dei tifosi non è sviluppato come in altre regioni, così solo una piccola parte della tifoseria finisce per rinnegare la nuova squadra (fondandone una nuova con simboli e colori della vecchia), mentre una folta maggioranza ne resterà fedele nonostante il radicale cambiamento.

7 campionati austriaci, 4 coppe d’austria e un ottavo di Europa League: non male il bottino della nuova proprietà, malgrado la maledizione delle 9 eliminazioni consecutive ai preliminari della Champions League, in partite che hanno avuto a dir poco del grottesco (l’ultima qualificazione, poco più di una settimana fa, sfuggita a 3 minuti dalla fine contro la Dinamo Zagabria). Il discreto successo ha portato dunque a riprovare il progetto in altri campionati. Così sono arrivati i New York Red Bulls (2006), il Red Bull Brasil (2007) fino ai Red Bull Ghana (2008, ma fallita nel 2014). Tutte squadre con ben più di qualcosa in comune: stessa denominazione, stesso stemma, stessi colori, stesse divise. È un calcio spietato, che si uniforma in nome del dio denaro e che non ha intenzione di fermarsi.

Foto-13Non sono certamente i campionati come l’MLS o quello ghanese ad avere l’appeal che gli austriaci desiderano. Il calcio vero si gioca altrove, si gioca in Germania, Italia, Inghilterra, Spagna. Nel cuore dell’Europa vendere l’anima al diavolo non è usanza comune e la Red Bull, per trovare un trampolino di lancio in una nazione dove si mangia calcio 365 giorni l’anno, di fatica ne ha fatta. L’indiziata numero 1 era stata trovata nella Dinamo Dresda (Germania dell’est), che adesso vuoi per la sua tradizione, vuoi per la violenza dei suoi tifosi, non se ne fece nulla. Così si vira a Lipsia, puntando più precisamente sull’FC Sachsen, la seconda squadra della città. Una sommossa popolare muta quindi totalmente i piani degli austriaci, che decidono di  provare successivamente con il Markranstädt, squadra di quinta divisione della medesima città. Anche qui le proteste della tifoseria non mancano, ma stavolta l’affare va in porto e la bevanda energetica più famosa del mondo sbarca definitivamente in terra tedesca.

Non tutto va secondo i piani, però. La federazione tedesca, infatti, vieta tassativamente l’inserimento di un marchio nel nome di una squadra se l’investimento non viene fatto a lungo termine (come nel caso del Bayer Leverkusen, team delle aspirine dell’omonima città); così, il nome verrà cambiato in RasenBallsport Leipzig, con le due iniziali (RB) che non proprio a caso ricordano quelle della famosa marca di bibite. Tutto quel che concerne simboli e colori, invece, rispecchia perfettamente la galassia Red Bull.

red-bull-lipsia-640x350Il Lipsia così comincia a scalare le classifiche e, contemporaneamente, a portare con sé le antipatie di qualunque tifoseria in Germania. È il caso di dire, infatti, che l’odio non ha proprio colore: che siano ultras o semplici tifosi con la trombetta, che siano fascisti o comunisti, ogni tifoso tedesco prova un forte disgusto nei confronti della squadra dei due tori. In un Paese dove ancora gli spalti contano molto nel panorama calcistico, l’R.B. Lipsia viene visto come la rappresentazione del male. Eppure non è questo il primo caso di cannibalismo da multinazionale in Germania, anzi, gli esempi sono dei più disparati: Volkswagen a Wolfsburg, SAP ad Hoffenheim, Audi ad Ingolstadt. Quanto meno, nei casi appena elencati c’è un forte legame geografico tra la squadra e l’azienda in questione. La sede della Red Bull, al contrario, si trova a ben 580 Km di distanza dalla città di Lipsia e il presidente, Dietrich Mateschitz, nonostante l’investimento di 100 milioni in 10 anni non ha mai visto una partita nello stadio della sua squadra.

E mentre il Salisburgo continua a non sfatare la maledizione dei preliminari di Champions League, l’RB Lipsia si appresta a vivere per la prima volta il massimo campionato tedesco. Dopo soli sette anni dalla sua acquisizione, la scalata dalla sesta serie alla Bundesliga è stata ultimata e, a detta dello stesso Mateschitz, l’attacco ai primi piazzamenti del campionato sarà il prossimo passo verso il successo. Un piccolo sogno, dirà qualcuno, ma siamo sicuri che sia questo il calcio che vogliamo per il prossimo futuro?

Francesco Mascali

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About Francesco Mascali

Proprietario, editore e vice direttore di Voci di Città, nasce a Catania nel 1997. Da aprile 2019 è un giornalista pubblicista iscritto regolarmente all’albo professionale, esattamente due anni dopo consegue la laurea magistrale in Giurisprudenza, per poi iniziare la pratica forense presso l’ordine degli avvocati di Catania. Ama viaggiare, immergersi nelle serie tv e fotografare, ma sopra tutto e tutti c’è lo sport: che sia calcio, basket, MotoGP o Formula 1 non importa, il week-end è qualcosa di sacro e intoccabile. Tra uno spazio e l’altro trova anche il modo di scrivere e gestire un piccolo giornale che ha tanta voglia di crescere. La sua frase? «La vita è quella cosa che accade mentre sei impegnato a fare altri progetti»

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