Quanti lo amano lo avevano lasciato lì, su quella banchina del binario 9¾ alla stazione di King’s Cross, mentre, fiero e sorridente, salutava i figli in partenza sull’espresso per Hogwarts. Lo avevano lasciato lì, convinti che fosse un addio, orgogliosi di essere rimasti fino alla fine, seppur con il retrogusto amaro della perdita di un amico e, in fin dei conti, anche della propria infanzia, dell’età della fantasia e dell’immaginazione. D’altra parte l’avventura era ormai volta al termine, Voldemort era sconfitto, i “Doni” riuniti e Harry, il bambino che è sopravvissuto, finalmente libero di essere “solo Harry”. La stessa J. K. Rowling, madre del maghetto più famoso di tutti i tempi, aveva dichiarato, inoltre, che il settimo capitolo della saga sarebbe stato anche l’ultimo. A distanza di nove anni dall’uscita dell’ultimo libro, però, ecco riapparire Harry e il figlio minore, Albus Severus, pronti a confrontarsi con nuove avversità e pericoli.
Già pièce teatrale, “Harry Potter e la maledizione dell’erede”, questo il titolo del nuovo episodio edito da Salani Editore, conterrà il testo dello spettacolo teatrale di Jack Thorne, rappresentato per la prima volta a Londra lo scorso 30 luglio. La vicenda vede il mago alle prese con un passato che cerca di riemergere, mentre Albus Severus dovrà fare i conti con il peso di un’eredità mai voluta. Il libro sarà acquistabile nelle librerie italiane a partire dal 23 settembre prossimo e già si prospettano orde di fan, desiderosi di leggere subito il nuovo capitolo. In effetti, la notizia riguardante la prossima uscita del libro non può che aver rallegrato gli appassionati della serie, anche se un interrogativo sorge spontaneo: che nell’era contemporanea nessuno sappia più mettere la parola fine?
Forse la Rowling è rimasta vittima della sua stessa fattura? Tra sequel, prequel, spinoff e remake, oggigiorno, diviene sempre più difficile gettare uno sguardo più in là, verso la conclusione delle cose e l’epilogo sembra quasi un mostro biblico da scongiurare ad ogni costo. Spremere una storia fino a quando se ne riesce a ricavare del succo: questo sembra essere diventato l’imperativo di molti autori di libri, ma anche dei produttori cinematografici. Poco importa se la vicenda sa di trito e ritrito, se non ha più nulla da raccontare né trasmettere, ciò cui bisogna mirare è la soddisfazione del pubblico sempre e comunque e, in special modo, al più alto profitto possibile. E “zia Row”, almeno in apparenza, sembra non discostarsi da questa filosofia.
Dopo sette libri, otto film, un sito web, Pottermore, interamente dedicato ai personaggi e alle vicende della saga, l’autrice sembra ancora non esser pronta a lasciare andare il figlio letterario, il quale l’ha resa una delle autrici più famose e amate al mondo, nonché, per vederla sul piano prettamente venale e materiale, la scrittrice più ricca d’Inghilterra. Dal 1997 a oggi, in effetti, le sole copie vendute ammontano a quattrocentocinquanta milioni, senza contare gli innumerevoli gadgets, ispirati a Harry Potter, i quali fanno salire i profitti a circa venticinque miliardi di dollari. Al di là dei profitti e mettendosi nei panni dell’autrice, però, bisogna riconoscere quanto sia davvero difficile, alle volte, distaccarsi da qualcosa che ci ha donato così tanto e che si è amato profondamente, e, quindi, per questa ragione, non soltanto a breve uscirà l’ultimo episodio della saga, ma a novembre si potrà anche andare a vedere l’adattamento cinematografico di “Animali fantastici e dove trovarli”, anch’esso della Rowling. La scrittrice, anche stavolta, ha precisato che non scriverà più di maghi, streghe e creature fantastiche. Chissà se l’autrice manterrà il proposito. Solo una cosa resta certa: quando Hogwarts chiama, è impossibile non accorrere al suo invito. Perché, si sa, in fondo, Hogwarts è sempre un po’ la nostra casa.
Debora Guglielmino
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