Dal 1° Gennaio 2020 è entrata in vigore la riforma che comporta la sospensione dei termini di prescrizione dopo il primo grado di giudizio. Tale modifica ha mobilitato scioperi ed infinite critiche; Ma… di cosa si tratta?
Accesa la TV il primo dell’anno, (in un’ora più o meno tarda del pomeriggio, si intende) c’è chi decide di seguire i concerti di Capodanno e chi, invece, i telegiornali che raccontano le storie dei genitori dei “primi nati”. A fare subito capolino nel 2020, però, è la riforma sulla prescrizione. Polemiche, scioperi, emendamenti. Adesso, è legge. Ma di tutto il rumore assordante delle voci dei politici nei talk show, cosa ci resta?
Prima di tutto, occorre capire cosa sia la prescrizione. La prescrizione è una causa di estinzione del reato, giustificata dal venir meno della funzione deterrente della pena. É indubbio, infatti, che una sanzione inflitta dopo diverso tempo dalla commissione del fatto, non possa più perseguire il suo naturale fine: quello di prevenire altri illeciti (funzione general-preventiva). Lo stesso discorso vale per il principio di rieducazione del condannato, di ispirazione costituzionale, a cui protende la sanzione (funzione special-preventiva).
Detto ciò, è corretto abbandonare il generale per addentrarci nel particolare e capire cosa cambierà, da adesso in poi. La legge “incriminata” è quella del 9 Gennaio 2019 n.3 recante“Misure per il contrasto dei reati contro la Pubblica Amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici” . Meglio conosciuta come legge “Spazzacorrotti”, l’intervento modificativo consiste nel blocco della decorrenza dei termini per la prescrizione, al momento della sentenza che definisce il primo grado di giudizio.
Producendo i suoi effetti soltanto l’1 Gennaio 2020, si è deciso di differire di ben undici mesi l’entrata in vigore delle modifiche in punto di prescrizione. Questo dimostra, inequivocabilmente, la consapevolezza, maturata in capo legislatore, del carattere dirompente della riforma.
Recentemente (anche se non troppo), il guardasigilli aveva previsto due periodi di sospensione di prescrizione. Per le sentenze di condanna, il corso sarebbe rimasto immobilizzato, per un tempo non superiore a un anno e sei mesi, dalla sentenza di condanna di primo o di secondo grado fino alla pronuncia del dispositivo della sentenza del grado successivo o della sentenza definitiva. Per quelle di assoluzione, invece, avrebbe trovato applicazione la previgente disciplina sulla sospensione della prescrizione…
…E il regime previgente è quello della ex legge Cirielli, che stabilisce il termine per la prescrizione in base alla pena massima edittale prevista per ciascun reato. Da ultimo, giova sottolineare come la riforma intervenuta, abbia ripristinato la disciplina originaria del 1930 della decorrenza della prescrizione, prevista per il reato continuato. Il reato continuato si configura quando il reo “con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge o commette più violazioni della medesima disposizione di legge.”
In altre parole, si pongono in essere più condotte, tutte coordinate alla realizzazione del medesimo disegno criminoso. Ad esempio: per sequestrare Caio, Tizio picchia la guardia del corpo, ruba un’auto e trattiene Caio per diversi giorni; in tal caso commette il delitto di lesioni, sequestro di persona e furto. Si tratta di ben tre reati, ma realizzati con l’unico scopo di sequestrare Caio. Invero, diversamente rispetto alla precedente disciplina, la L. n. 3 del 2019 ha previsto che il tempo della prescrizione decorra dal giorno in cui è cessata la continuazione (e cioè la prossimità temporale di più reati, tutti finalizzati ad un programma unitario).
Provando, quantomeno, ad individuare la voluntas legislatoris non si dovrebbe sbagliare. Perciò, il chiaro intento della riforma è quello di sopperire agli effetti della diffusa lentezza dei processi, che supera (di gran lunga) i sei anni indicati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
In tale prospettiva, l’ultimo report del CEPEJ (Commissione Europea per l’Efficienza della Giustizia), pubblicato nel 2018 e che analizza l’anno 2016, evidenzia come il dato relativo alla durata media del primo grado di giudizio in Italia sia il peggiore in Europa: 310 giorni a fronte di una media (tra tutti gli Stati d’Europa) individuata in 138 giorni. Ma non è tutto. Il dato relativo al giudizio di appello – ossia al grado di giudizio maggiormente interessato dagli effetti dalla riforma – è tragicamente superiore: 876 giorni a fronte di una media europea di 143 giorni. Il terzo grado di giudizio, infine, vede l’Italia superata solo da Cipro e Irlanda.
Ed ancora, secondo gli stessi dati, nell’anno 2017 è stato definito mediante prescrizione circa il 9,4% dei procedimenti penali. Dunque, è chiaro, che il legislatore ha ridotto il numero dei reati prescritti a causa della lentezza dei processi, rimettendo il momento sospensivo ad un ostacolo insuperabile: la sentenza di primo grado!
In tale direzione, non può, sfuggire come il legislatore abbia inteso intervenire su un momento di patologia del processo penale (la lentezza), mediante un ulteriore momento patologico, la dilatazione dei suoi tempi. Forse, non intuendo, che proprio la distanza temporale tra sentenza e fatto accertato possa compromettere la correttezza di tale verifica.
L’eliminazione della prescrizione, rende evidente abbastanza, il vulnus al principio costituzionale di ragionevole durata ex art 111 co. 2 Cost? Cosa ne è del diritto di difesa, a fronte di una prassi che dimostra di non conoscere il contenuto dell’art. 358 c.p.p., secondo cui il pubblico ministero dovrebbe svolgere accertamenti su fatti a favore della persona sottoposta alle indagini? Come può ritenersi veritiero il contraddittorio a distanza di moltissimo tempo dai fatti addebitati al presunto colpevole? Come può, soprattutto, ritenersi assicurato all’imputato il diritto di programmare la propria esistenza, paralizzandola per tutto il periodo di durata del procedimento penale, non consentendogli di andare avanti, anche nel senso di scontare la propria pena e intraprendere ogni futura, libera, scelta esistenziale, nella direzione dell’art. 27 Cost.?
A fronte di quanto argomentato, non pare, che il sistema adottato, possa essere giudicato compatibile con i nostri principi costituzionali; i quali assicurano, anche al reo, diritti e libertà fondamentali. Al contrario, sarebbe stato (ed è) necessario procedere ad una riforma del procedimento penale: solo riducendo i suoi tempi, sarebbe in grado di salvaguardare le garanzie individuali.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, è possibile rilevare come, abolendo la prescrizione dopo il primo grado di giudizio, si potrebbe snaturare la causa di estinzione del reato in oggetto. Trascurando, inoltre, di considerare, come la cancellazione della prescrizione (dopo il primo grado di giudizio), potrebbe non garantire né le funzioni della pena, né la certezza e la effettività della sanzione, ponendo il soggetto nella potenziale condizione di eterno imputato.
Il saggio Pietro Calamandrei rimarcava: «il segreto della giustizia sta in una sua sempre maggior umanità, e in una sempre maggiore vicinanza umana tra avvocati e giudici nella lotta comune contro il dolore: infatti, il processo, e non solo quello penale, di per sé è una pena, che giudici e avvocati debbono abbreviare rendendo giustizia». Perciò, ci chiediamo, sarà questo il modo più efficace “per abbreviare, rendendo giustizia”?
Maria Giulia Vancheri
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Maria Giulia, che in una parola si definisce logorroica, è una studentessa 24enne di giurisprudenza, a Catania. Dopo anni passati sui libri ha pensato bene di iniziare a scrivere per non infastidire più chi non volesse ascoltare le tante cose che aveva da dire. Riconosce di essere fashion… ma non addicted. Ama il mare e anche durante la sessione estiva non rinuncia alla sua nuotata giornaliera, che le rinfresca il corpo e i pensieri.
Crede fermamente che chi semina amore, raccolga felicità