“Studi giurisprudenza? Ma lo sai che solo a Roma ci sono più avvocati che in tutta la Francia?“. Tutti gli aspiranti giuristi avranno sentito queste parole almeno una volta, dopo avere annunciato a un parente o a un amico di avere intrapreso questo percorso di studi. Con la laurea in giurisprudenza si può ambire a tante carriere. Chi punta alla magistratura, chi al notariato, chi ancora alla Pubblica Amministrazione o a ruoli di spicco in grandi multinazionali. Poi ci sono i praticanti avvocati, che devono combattere di tanto in tanto, con modifiche legislative che rendono sempre più ripida la salita per ottenere l’abilitazione.
L’ultima di cui è opportuno parlare è quella introdotta con la l. 247/2012, attuata con il Decreto Ministeriale 17/2018. La previsione legislativa prevede che, oltre alla pratica forense obbligatoria della durata di 18 mesi, chi desidera accedere alla professione di avvocato debba frequentare “corsi di formazione obbligatori” organizzati dalle c.d. scuole forensi che hanno sede presso gli ordini professionali di tutte le città italiane.
Prima dell’emanazione di tale decreto attuativo, però, le modifiche introdotte con la Legge in questione non producevano alcun effetto. Quindi, la preoccupazione iniziale di tutti gli avvocati in pectore si è rivelata essere un falso allarme. Il problema si è però posto nel 2018, data di emanazione del decreto che disciplina i corsi di formazione di cui si è parlato prima, e che dava quindi attuazione alla nuova procedura per diventare avvocati a partire dal biennio successivo all’emanazione del decreto stesso (2020).
Le circostanze, però, hanno cambiato le carte in tavola. Il covid, infatti, ha ulteriormente posticipato il momento in cui sarebbero dovute entrare in vigore tutte le novità in questione, creando parecchi dubbi interpretativi. La vicenda necessitava dunque di un chiarimento, che è poi arrivato da parte del Consiglio Nazionale Forense: tutti gli iscritti nel registro dei praticanti a partire dal mese di aprile 2022 sono obbligati a partecipare ai corsi organizzati dalle scuole forensi per potere prendere parte all’esame di abilitazione. I corsi di formazione cui i praticanti avvocati sono obbligati a partecipare si compongono di 160 ore divisi in tre moduli e hanno la durata di 18 mesi.
«La cosa più assurda tra tutte è che i corsi che siamo obbligati a svolgere unitamente alla pratica sono a pagamento», così esordisce Barbara, praticante avvocato laureatasi a giugno che raccoglie le istanze di molti colleghi.
L’onerosità dei corsi obbligatori da affiancare ad una pratica forense svolta, troppo spesso a titolo gratuito e senza neanche un rimborso spese, sottolinea la rilevanza di un problema eccessivamente sottovalutato. Le condizioni sempre più stringenti, e non solo dal punto di vista economico, che si impongono per la professione di avvocato, ne rendono elitario l’accesso.
Solo chi ha una famiglia alle spalle a supportarlo, infatti, può permettersi di sognare di intraprendere una strada lunga, difficile e, come se già non lo fosse, antieconomica. Tra corsi, codici e manuali l’avvocatura non è una strada percorribile per chi parte da zero e senza disponibilità economiche. Senza contare il percorso post abilitazione: quanti neo avvocato possono vantare un parco clienti o ancora un contratto presso uno studio? L’affermazione professionale non arriva subito e conseguentemente i redditi dei neo avvocato rasentano lo zero durante i primi anni di attività.
Riflessioni simili valgono per gli aspiranti magistrati. Nonostante abbiano aperto le maglie per l’accesso al concorso, l’aleatorietà dello stesso rende necessario, sebbene non siano obbligatori, la partecipazione a corsi di preparazione a pagamento. Anche in questo caso, tra corsi dal costo proibitivo, manuali e codici, solo chi ha una famiglia alle spalle può permettersi di sognare tale carriera. Con la differenza sostanziale che, una volta raggiunto lo scopo (la vittoria del concorso), si entra definitivamente nel mondo del lavoro con uno stipendio degno di tale nome.
Tutto questo si riflette, chiaramente, sul numero di iscritti alla facoltà di giurisprudenza, ridottosi di gran lunga rispetto agli anni precedenti. Insomma, la denuncia fatta da Barbara per se e i suoi colleghi raccoglie il malcontento di una categoria di giovani che, pur potendo intraprendere tante strade, le stesse risultano precluse per cause che vanno al di là della propria sfera di controllo.
La politica non sembra affatto prendere in considerazione le problematiche di praticanti avvocati e aspiranti magistrati. Con milioni di giuristi con una laurea facoltosa (sulla carta) in mano costretti a proseguire la difficile scalata verso la professione senza la sicurezza di poter giungere, facilmente, alla realizzazione professionale e con il peso di dover gravare sulle finanze dei genitori a un’età non indifferente. E mentre molti coetanei si realizzano, personalmente e professionalmente, sono tanti i laureati in giurisprudenza a domandarsi, senza remore: “ma chi me lo ha fatto fare?”.
Maria Giulia Vancheri
Fonte foto: W la dislessia
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Maria Giulia, che in una parola si definisce logorroica, è una studentessa 24enne di giurisprudenza, a Catania. Dopo anni passati sui libri ha pensato bene di iniziare a scrivere per non infastidire più chi non volesse ascoltare le tante cose che aveva da dire. Riconosce di essere fashion… ma non addicted. Ama il mare e anche durante la sessione estiva non rinuncia alla sua nuotata giornaliera, che le rinfresca il corpo e i pensieri.
Crede fermamente che chi semina amore, raccolga felicità