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Aborto in Texas, scontro con Biden: la Corte Suprema non sospende la legge
09 Settembre 2021
Best politikEstera

Aborto in Texas, scontro con Biden: la Corte Suprema non sospende la legge

Home » Best politik » Aborto in Texas, scontro con Biden: la Corte Suprema non sospende la legge
4 minuti (tempo di lettura)

La Corte Suprema degli Stati Uniti non ha sospeso la legge dello Stato del Texas che proibisce l’aborto dopo sei settimane di gravidanza anche in caso di stupro o incesto. La Corte, con quattro giudici dei nove contrari alla decisione, non si pronuncia sulla costituzionalità della legge entrata in vigore, ma invoca «questioni di procedura complesse e nuove».

Il ricorso alla Corte Suprema è stato presentato d’urgenza, a ridosso dell’entrata in vigore, prevista per l’1 settembre, di una restrittiva legge sull’aborto nel Texas.

La legge entrata in vigore in Texas, nello specifico, impedisce il ricorso all’interruzione di gravidanza dopo sei settimane, anche in caso di stupro o incesto. La decisione è stata presa grazie alla maggioranza di cinque giudici conservatori (dei quali tre sono stati nominati dall’ex presidente Trump). Il Capo della Corte Suprema John Robert, conservatore moderato, si è opposto insieme ai tre magistrati progressisti.

La controversa legge era stata firmata nel maggio 2021 dal governatore repubblicano del Texas Greg Abbott, ed introduce il divieto di interrompere la gravidanza a partire dal momento in cui sia percepibile il battito del cuore dell’embrione, attorno alla sesta settimana di gravidanza. Secondo i sostenitori del diritto all’aborto di fatto ciò andrebbe a costituire un completo divieto, poiché sono pochissime le donne che si accorgono della gravidanza prima delle sei settimane, in particolar modo quando questa non sia oggetto di loro desiderio. Inoltre, l’unica eccezione che il provvedimento contempla, è quello del pericolo per la salute della donna, non contemplando più la richiesta di questa o altro.

Il principale problema è che la stretta della legge texana mette a rischio la valenza della pronuncia Roe contro Wade del 1973, che ha rappresentato il fondamentale precedente giudiziario riguardo alla legislazione sull’aborto. Prima della sentenza, la normazione dell’aborto era competenza di ciascuno Stato, che con propria legge poteva disciplinare la materia; antecedentemente a Roe contro Wade, in almeno trenta Stati l’aborto era considerato reato, in tredici era considerato legale ma solo in caso di pericolo per la gestante, stupro, incesto o malformazioni fetali, in tre Stati era legale solo in caso di stupro o di pericolo per la donna, ed infine soltanto in quattro Stati la richiesta della donna era unico requisito. Quando nel 1972 la storia di Jane Roe approdò avanti alla Corte Suprema, ai giudici venne chiesto se la Costituzione federale riconoscesse un diritto all’aborto anche in assenza di problemi di salute della donna, del feto e di ogni altra circostanza che non fosse la libera scelta della donna. La Corte decise con la famosa sentenza del 22 gennaio 1973, con una maggioranza di sette giudici su nove, che comportò una certa e precisa interpretazione del 14esimo Emendamento: esiste un diritto alla privacy inteso come diritto alla libera scelta di ciò che attiene alla sfera più intima dell’individuo, dunque la Suprema Corte riconosce il diritto all’aborto in un’ottica di limitazione dell’ingerenza dello Stato. Ovviamente la limitazione dell’intervento statale non è assoluta, perché è compito dello Stato definire ciò che si intende come “tempo della gestazione”.

In conclusione, Roe contro Wade ha stabilito due importanti principi. Il primo consiste nel diritto della donna alla libertà di abortire per qualsiasi ragione (e non solo per tassative motivazioni previste dallo Stato), fino al punto in cui il feto divenga in grado di sopravvivere fuori dall’utero materno, anche con l’ausilio di un supporto artificiale, condizione che si verifica in media intorno alle ventotto settimane. Il secondo principio è dato invece dal fatto che, in caso di pericolo per la salute della donna, l’aborto sia legale anche oltre la soglia menzionata. Si comprende agevolmente come si sia trattato di una sentenza rivoluzionaria: condizionò le leggi di quarantanove Stati.

Alla luce di tutto ciò, questa lettura del 14esimo Emendamento appare in chiaro conflitto con quanto disposto dal provvedimento dello Stato del Texas. Il giorno stesso dell’entrata in vigore della norma, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha esplicitamente preso posizione, assicurando che il diritto all’aborto sarà difeso e protetto da quella che ha definito la «legge radicale» del Texas; Biden ha inoltre definito il regolamento un «attacco ai diritti costituzionali delle donne». La stessa portavoce del presidente, Jen Psaki, ha duramente dichiarato al giornalista di EWTN Owen Jensen, che aveva chiesto perché il presidente Biden si opponesse alla legge texana essendo cattolico: «Il presidente Biden pensa che sia un diritto della donna, è il corpo di una donna ed è una sua scelta. Crede che spetti a una donna prendere queste decisioni, a una donna insieme al suo medico. So che non ha mai affrontato queste scelte, né è mai stato incinta, ma per le donne là fuori che hanno affrontato queste scelte, questa è una cosa incredibilmente difficile. Il presidente ritiene che i loro diritti debbano essere rispettati».

Quanto sta accadendo in Texas non può non far pensare alla possibile conseguenza di una così restrittiva legge, ossia alla problematica degli aborti non sicuri, o meglio clandestini. Spesso nel mondo, quando la disponibilità dell’aborto legale è limitata,  le donne che intendono interrompere una gravidanza ricorrono a metodi non sicuri; tutto ciò può condurre (e di fatto conduce) ad aborti incompleti, emorragie, sepsi e danni agli organi interni. Basti pensare che si tratti di una delle principali cause di lesione e di morte tra le donne di tutto il mondo: si stima che circa venti milioni di aborti non sicuri vengano eseguiti ogni anno e che il 97% di essi si verifichi nei paesi in via di sviluppo. Nel 2016 un’importante inchiesta giornalistica e fotografica intitolata On abortion che racconta la violenza dell’aborto clandestino nel mondo era stata fatta dalla fotografa Laia Abril, ed esposta al festival di Arles; si trattava di uno studio sulle migliaia di donne che, analizzando la situazione a partire dal XIX secolo, ancora oggi nel mondo non possono ricorrere legalmente all’interruzione di gravidanza, e su come tante altre siano costrette all’aborto clandestino, spesso pericoloso al punto da mettere in pericolo la loro vita. La Abril, a seguito dell’analisi supportata da dati, ha dichiarato: «In maniera naturale ogni donna, nel corso della vita, potrebbe rimanere incinta quindici volte e arrivare a partorire dieci, ma solo sette dei neonati riuscirebbero a sopravvivere. Ogni anno quarantasettemila donne nel mondo muoiono per pratiche di aborto non adeguate».

Sarà interessante vedere che piega prenderà e come si concluderà la vicenda, alla luce di quanto prevede la Costituzione americana al 14esimo Emendamento e delle ultime dichiarazioni del presidente Biden. Attualmente in Texas e non solo, milioni di donne stanno protestando ed aspettando con apprensione di capire se e come vedranno tutelato il diritto a disporre del proprio corpo.

Stefania Piva

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About Stefania Piva

È nata e vive a Milano, laureata in giurisprudenza all’Università Statale di Milano, praticante avvocato presso l’Avvocatura dello Stato di Brescia. Da sempre appassionata di politica e giornalismo, ha scritto in precedenza per il giornale locale ABC Milano. Ama il trekking in alta montagna ed esplorare i fondali marini per districarsi fra lo stress cittadino e le udienze in tribunale!

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