Una giocatrice della nazionale giovanile di pallavolo afghana è stata uccisa brutalmente a Kabul. Si tratta dell’ennesima violenza mossa dai talebani nei confronti delle donne. Mauro Berruto, l’ex CT della nazionale di volley ha confermato e raccontato al Corriere della Sera la triste notizia, trapelata soltanto ora, ma che pare essere risalente all’agosto scorso.
Il 27 agosto 2021, dopo l’attentato all’aeroporto di Kabul, una ragazza contatta l’ex CT Berruto chiedendo aiuto per espatriare in Italia. Le sue parole sono agghiaccianti: «Mi uccideranno come hanno fatto con la mia compagna di squadra, scrive, l’hanno massacrata come un animale». La pallavolista di cui la ragazza sta parlando è Mahjubin Hakimi. Mahjubin aveva 18 anni, era di etnia hazara e lavorava come poliziotta, oltre a giocare per la Kabul Municipality Volleyball Club, la squadra comunale di Kabul. Dalle poche notizie trapelate dal regime talebano, pare che Mahjubin Hakimi sia stata decapitata brutalmente nella prima metà dell’agosto 2021. Tutto ciò pare non essere immediatamente emerso a causa di minacce che la famiglia della ragazza avrebbe ricevuto. Dunque, è tuttora avvolta dal mistero la dinamica della morte; qualche giorno fa sarebbero anche comparse sui social media le foto della testa mozzata della pallavolista, col collo insanguinato, ma tali documenti al momento non sono ancora pervenuti ufficialmente, quindi vale la pena di trattare con delicatezza la questione. Infine, il quotidiano Indipendent Persian ha riportato una dichiarazione dell’allenatrice della pallavolista (identificata per ragioni di sicurezza con lo pseudonimo di Suraya Afzali): «I talebani hanno decapitato la mia pallavolista».
A seguito dell’instaurazione del regime dei talebani a Kabul, il governo aveva comunicato l’intenzione di proseguire una svolta moderata, improntata all’inclusività di genere e alla tolleranza. Nonostante le iniziali promesse, i talebani hanno poi reso sempre più evidenti le loro reali intenzioni: a pagare il prezzo più alto sono state le donne, vittime di un intervento di rieducazione forzata finalizzato a negarne libertà ed identità. Tra i tanti, è stato introdotto il divieto per le donne di praticare sport. A fronte di ciò, molte sportive afghane sono fuggite in altri paesi, altre si sono dovute nascondere: basti pensare al caso di Zakia Khudadadi, che era riuscita a scappare e a partecipare alle Paralimpiadi di Tokyo, come prima atleta afghana. Il vicepresidente della Commissione culturale, Ahmadullah Wasiq, aveva scandalosamente giustificato l’introduzione del divieto dichiarando che «non è necessario per donne fare attività sportiva, in particolare in pubblico». Occorre sottolineare che questo attacco allo sport comporti tutta una serie di ripercussioni sulla salute fisica e mentale delle donne: è evidente che un simile divieto riservato esclusivamente alle donne sia improntato a perpetuare una condizione di soggezione, sottomissione. inferiorità ed addirittura di inesistenza.
Stefania Piva
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È nata e vive a Milano. È Avvocato, laureata in giurisprudenza all’Università Statale di Milano, ha svolto la pratica forense presso l’Avvocatura dello Stato di Brescia, e si è specializzata presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell’Università Statale di Milano. Da sempre appassionata di politica e giornalismo, ha scritto in precedenza per il giornale locale ABC Milano.