Quarantatrè anni dopo. Era il 12 maggio del 1974 quando il popolo italiano venne chiamato ad esprimere il proprio parere, per la prima volta dopo lo storico referendum del ’46, sull’abrogazione della «legge Fortuna-Baslini». Il referendum sul divorzio, tenutosi anche nella giornata del 13 maggio, fu una vera e propria festa della democrazia, in cui l’87,7% del popolo italiano avente diritto andò al voto, cambiando per sempre, tramite lo strumento della democrazia diretta, il tessuto sociale, familiare e politico italiano da quel momento in avanti.
La «legge 898/70, Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio» presentò un vero e proprio stravolgimento della storia recente dello stivale. Era un clima di cambiamento e rivoluzione (sono gli anni successivi al “movimento del Sessantotto”) e i parlamentari Loris Fortuna e Antonio Baslini – uno socialista, l’altro liberale – si fecero fautori di una legge che avrebbe diviso l’opinione pubblica italiana per i successivi quattro anni. Se il fronte divorzista – rappresentato dalle fasce socialiste, comuniste, repubblicane, radicali e liberali – intese la norma come un ampliamento delle libertà civili, non dello stesso appunto fu il fronte opposto, che vide la neo legge come una grave violazione del diritto naturale, nonché come un grande punto di disaccordo con il Vaticano, che tramite la propria dottrina sancisce l’indissolubilità del sacro vincolo matrimoniale.
Sebbene una parte del mondo cattolico si dichiarò comunque favorevole alla legge sul divorzio, fu proprio l’alleanza tra la Democrazia Cristiana e il Movimento Sociale Italiano a dare vita al Comitato nazionale per il referendum sul divorzio, il quale depositò in Corte di cassazione la richiesta di referendum per l’abrogazione della legge approvata poco più di un mese prima. A sostenere l’utilizzo dello strumento referendario, a sorpresa, non vi fu solo l’ala antidivorzista del Paese, ma anche e soprattutto il Partito Radicale e il Partito Socialista, che non tentennarono, come fecero altri partiti laici, per via di un risultato assai incerto e su cui gran parte della coalizione a favore del No si mostrò assai pessimista.
Le firme raccolte da entrambi i fronti mostrarono il volto di un paese ormai mutato dagli anni più bui che si erano preceduti. Un Paese nuovo, pronto a mettersi in gioco e ad esprimere in via direttissima il proprio parere su una questione così importante. Nelle settimane precedenti la data del referendum, il fronte del Sì e del No si affrontarono senza esclusioni di colpi. Anche i personaggi dello spettacolo, della cultura e del cinema si espressero su una tematica del genere, il che la dice lunga sull’importanza del quesito referendario, che occupò le prime pagine dei giornali come mai era accaduto prima di quel momento.
Era un’Italia accesa su una battaglia politica e sociale di elevatissimo contenuto, un’Italia che rischiò anche di spaccarsi in due, viste le posizioni al quanto definite da parte del meridione e del settentrione, orientate rispettivamente a favore e a sfavore dell’abrogazione. Alla fine dei giochi fu il No a prevalere sul Sì con una percentuale del 59,26% che alla luce dei 33.023.179 di votanti la disse lunga sulla voglia di progresso di un popolo ormai definibile laico e razionalmente distaccato dalle dottrine cattoliche (anche se non furono pochi i cattolici schieratisi a favore della legge sul divorzio). Le legge è stata poi modificata prima nel ’78 poi nell’87 con i tempi necessari per giungere alla sentenza definitiva di divorzio ridotti dai cinque ai tre anni. Con la legge 55/201 poi, il divorzio è possibile già dopo un anno di separazione giudiziale e sei mesi di separazione consensuale.
Francesco Mascali
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