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Qatar 2022, morti oltre sei mila lavoratori: mistero sulle condizioni di lavoro
31 Marzo 2021
AttualitàVoci di Sport

Qatar 2022, morti oltre sei mila lavoratori: mistero sulle condizioni di lavoro

Home » Attualità » Qatar 2022, morti oltre sei mila lavoratori: mistero sulle condizioni di lavoro
4 minuti (tempo di lettura)

Sette nuovi stadi, una città artificiale, un aeroporto, degli alberghi e molte altre infrastrutture sono state e saranno costruite in Qatar fino al 2022, anno dei mondiali di calcio. Dietro tutto questo si nasconde, però, la morte di 6.500 lavoratori. 

Che i prossimi mondiali di calcio, quelli del 2022, si disputeranno in Qatar è ormai una notizia che tutto il mondo conosce. Nel dicembre del 2010, infatti, l’emirato si è aggiudicato l’ospitalità dell’evento battendo la concorrenza di Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone. Quello che, però, non tutti sanno è che dietro questi mondiali si nasconderebbe una condizione disumana di lavoro che avrebbe portato alla morte di tanti lavoratori.

Secondo un’inchiesta portata avanti dal “The Guardian“, noto giornale britannico, e Amnesty International , dal 2010 allo scorso anno circa 6.500 migranti sono morti in Qatar. Una media di dodici a settimana. Molti di loro, se non tutti, erano arrivati nel paese per partecipare alla costruzione dei nuovi stadi e delle nuove infrastrutture che ospiteranno le trentadue nazionali partecipanti.

Negli ultimi dieci anni in vista del più grande evento calcistico, il Qatar sta, infatti, procedendo alla costruzione di sette nuovi stadi e di varie infrastrutture, tra le quali: strade, sistemi di trasporto pubblico, alberghi, un aeroporto e infine una città artificiale, Lusail, che ospiterà 250mila abitanti e la finale del campionato mondiale.

I dati delle morti provengono dalle ambasciate di India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka, i paesi da cui provengono la maggior parte dei migranti in cerca di occupazione. Il numero totale potrebbe essere addirittura più alto, in quanto non si tiene conto di lavoratori provenienti da altre nazioni come Filippine e Kenya, di cui non si conoscono i dati ma che hanno un elevato numero di migranti nell’emirato.

Questa non è la prima volta che la stampa internazionale si occupa delle pessime condizioni degli operai impiegati nella penisola araba. Già nel 2013, un’inchiesta aveva svelato che “i lavoratori erano costretti”, nella stagione estiva, “a lavorare a temperature vicine ai 50 gradi”, senza avere vicino un libero accesso a fonti d’acqua, “a ricevere in ritardo il proprio stipendio”, subendo punizioni corporali in caso di lamentele.

Inoltre, in questa inchiesta era stata denunciata la prassi di sequestrare i documenti dei lavoratori, rendendoli dei clandestini e costringendoli ad accettare qualunque tipo di abuso per riaverli indietro.

Alla base di queste condizioni di lavoro disumane vi è la “kafala“, un sistema già denunciato da varie organizzazioni internazionali a sostegno dei diritti umani e comparato a una moderna forma di schiavitù. Questa regolamentazione prevede che il datore di lavoro abbia, dalla sua parte, forti tutele legali per controllare i lavoratori migranti. Tra quest’ultime vi sono forti restrizioni: “sulla possibilità di cambiare impiego”, senza aver ottenuto il permesso del datore di lavoro, “sulla facoltà di dimettersi e sulla possibilità di lasciare l’emirato senza permesso”.

Nel settembre del 2020, dopo una serie di indagini e ripetute denunce da parte dell’organizzazione mondiale del lavoro, il Qatar ha abolito la kafala. La monarchia qatariota, comunque, si è dichiarata innocente riguardo le morti degli operai migranti e ha respinto qualsiasi forma di accusa.

Il governo nazionale, tuttavia, non ha mai smentito le cifre, riportate dalle varie ambasciate e diffuse in tutto il mondo dal “The Guardian”, ma tramite un suo portavoce ha dichiarato che il numero di morti è proporzionato al numero di migranti che lavorano nel paese. “Ogni vita persa è una tragedia e nessuno sforzo viene risparmiato nel cercare di prevenire ogni morte, tutti i cittadini qatarioti e stranieri hanno accesso all’assistenza sanitaria gratuita di prima classe”.

Problema, però, che circa il 70% di questi decessi sono stati registrati come dovuti a cause naturali, senza predisporre un’autopsia che verifichi le reali cause del decesso.

Il comitato organizzatore dei mondiali ha fatto sapere di “essere profondamente dispiaciuto per le tragedie accadute e di aver mantenuto la trasparenza su questo problema e contestato affermazioni imprecise sul numero di lavoratori morti nei nostri progetti”. “Abbiamo indagato su ogni incidente per assicurarci che la lezione venisse appresa”.

In realtà i dati forniti dal comitato organizzatore di Qatar 2022 dicono che sono solo 37 i morti tra i lavoratori direttamente legati alla costruzione degli stadi della Coppa del Mondo e di questi ben 34 sono morti in incidenti “non legati al lavoro”.

La stessa FIFA, l’organo che governa il calcio mondiale, si è allineata su questa posizione, dichiarando che la federazione è sempre pronta a proteggere i diritti umani e in particolare quelli dei lavoratori. “La frequenza degli incidenti nei cantieri della Coppa del Mondo è stata bassa rispetto ad altri grandi progetti di costruzione in tutto il mondo”. Il portavoce della FIFA non ha però fornito prove a sostegno di quest’ultima affermazione.

Ad aver preso una posizione netta sono, invece, alcune nazionali, come Norvegia, Olanda, Germania e Danimarca. Proprio in questi giorni si stanno giocando le prime partite di qualificazione al mondiale di Qatar 2022 e queste quattro nazionali, durante l’esecuzione degli inni nazionali, hanno mostrato delle magliette a sostegno dei lavoratori e dei loro diritti, facendo diventare quest’inchiesta di dominio pubblico.

Joshua Kimmich, centrocampista della nazionale tedesca e titolare inamovibile del Bayern Monaco ha addirittura dichiarato in un’intervista: “Dovevamo boicottare i mondiali in Qatar“.

Non si è ancora espressa in merito la federazione calcistica italiana, che, dopo aver vinto le prime due partite del girone di qualificazione, si prepara ad affrontare questa sera la Lituania, a Vilnius. Calcio d’inizio alle 20,45.

A poco più di un anno dall’inizio del mondiale, un vero e proprio giallo ha già caratterizzato quest’edizione. Oltre ad aver abolito la kafala, il governo qatariota, in seguito al numero sempre più elevato di critiche, ha anche approvato una riforma del lavoro che prevede un salario minimo e consente di cambiare lavoro senza chiedere il permesso al datore di lavoro. Tutto questo però non farà tornare in vita gli oltre sei mila lavoratori morti.

Il calcio, in quanto sport, da sempre è strumento di pace, di diritti, di battaglia contro ogni forma di discriminazione e sopruso. I mondiali sono un momento di aggregazione, di festa, di gioia, per chi li ospita e per chi li guarda. Nessuna città artificiale, nessun tipo di sfarzo potrà mai cancellare tutto questo. “I mondiali hanno scandito i tempi della nostra vita e scandiranno quelli di chi verrà” (Federico Buffa).

 

AGGIORNAMENTO 16/11/2021: Amnesty International ha invitato le autorità di Doha ad abolire la sopracitata “kafala” che permette ai datori di lavoro ampi margini di controllo sui propri dipendenti stranieri.

Ecco quanto ha dichiarato Mark Dummett, direttore del programma “temi globali” di Amnesty International.

“Le lancette dell’orologio continuano ad andare avanti, ma non è ancora troppo tardi per tradurre le promesse in azioni concrete. Le autorità del Qatar devono attuare interamente il loro programma di riforme. Se non lo faranno, ogni progresso fatto finora sarà stato vano. 

L’atteggiamento compiacente delle autorità del Qatar sta lasciando migliaia di lavoratori migranti alla mercé dello sfruttamento da parte dei loro datori di lavoro: molti non sono in grado di cambiare impiego e rischiano di essere privati del salario. Hanno scarse possibilità di ottenere rimedi, risarcimenti e giustizia. E dopo i mondiali, il futuro di chi resterà in Qatar sarà ancora più incerto”.

 

Fonte foto: Flickr.com

Giuseppe Tosto

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About Giuseppe Tosto

Giuseppe, classe 1999, è uno studente universitario, un aspirante giornalista e un grande sognatore. Fin da piccolissimo è appassionato di sport, unica fonte di distrazione che permetteva ai suoi genitori di farlo mangiare, e giornalismo. Simpatiche, a tal proposito, la scene di quando da piccolo si sedeva nel bar del padre e leggeva la Gazzetta dello Sport “come quelli grandi”.

È entrato a far parte di Voci di Città…prima come tirocinante universitario…poi come scrittore nella redazione generalista. Adesso si occupa della Serie A con i “top & flop” di ogni giornata e delle breaking news grazie alle quali si occupa dei temi più svariati: dallo sport all’attualità, passando per le storie più importanti, centrali o divertenti del momento.

Il suo compito? Cercare di spiegare benissimo tutto quello che non sa! (Semicit. Leo Longanesi).

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