Parole, testimonianze, indumenti. Può essere un pigiama, un jeans e una maglietta o ancora dei costumini da bambina. «Com’eri vestita?» è una domanda che troppo spesso, la gente, pone alle vittime di violenza sessuale, come se vi fosse, addirittura, l’intenzione di colpevolizzare le stesse. Proprio da questa domanda, diventata ormai un “must” all’interno della nostra società, nasce il titolo della mostra organizzata da Francesca Scardi, terapeuta e fondatrice della cooperativa Cerchi d’acqua.
Molti di quei vestiti sono una ricostruzione delle situazioni di violenza descritte dalle protagoniste stesse. Altri ancora, invece, sono proprio gli indumenti che le vittime indossavano durante i maltrattamenti. È una mostra che mira alla sensibilizzazione di un fenomeno tutt’altro che circoscritto, ma anche un modo per “rivoltare la frittata”, per cambiare culturalmente la società che ci circonda. È un modo per dare voce a chi, spesso e volentieri, decide di tacere per anni o, addirittura, decenni.
L’idea nasce dall’installazione artistica «What were you wearing?», ideata da Mary Wyandt-Hiebert e Jen Brockman, entrambe dipendenti dell’University of Kansas. L’esposizione, che ha fatto parlare di se non più di qualche mese fa, prende spunto da una poesia di Mary Simmerling: altro non è, infatti, che il suo sviluppo in termini più pratici. Insomma quel «Com’eri vestita?» è una domanda ricorrente che ferisce, senza alcun confine geografico, le vittime di violenza sessuale. Dall’Italia fino agli Stati Uniti, senza distinzione.
«Sono alcune storie – racconta Francesca Scardi ai microfoni del Secolo XIX – che arrivano dalle colleghe americane, le parole delle ragazze che subiscono violenza all’interno dei campus, cui noi abbiamo abbinato dei vestiti in base ai loro racconti. Poi abbiamo chiesto alle donne che frequentano i nostri gruppi di auto se avevano voglia di partecipare a questa mostra, anche perché per loro poteva essere un pezzo importante di un percorso di elaborazione del trauma. Così ci hanno mandato brevi frasi in risposta alla domanda “com’eri vestita?”».
In linea con la cooperativa gestita dalla dottoressa Scardi, infatti, la mostra che avrà luogo a Milano mira soprattutto a raccontare la realtà italiana: «Nella maggioranza delle situazioni – racconta la dottoressa sempre al Secolo XIX – le violenze avvengono all’interno della coppia o della famiglia». Una mostra, dunque, non solo nata per dare voce alle «oltre dieci mila situazioni di violenza che abbiamo seguito dal 2000 al 2016» ma anche per completare un percorso di elaborazione del trauma che spesso lascia delle ferite incurabili. Un modo per dare voce, un modo per curare e, si spera, un modo per non sentire più quella straziante domanda: «Com’eri vestita?».
Francesco Mascali
(le foto sono state scattate da Jennifer Sprague)
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