690 giorni da allievo sotto la sua guida tecnica, vivendo la miglior stagione realizzativa della sua carriera con 27 reti in 51 presenze, di cui 22 gol in 36 partite di campionato, e vincendo tre trofei (una Premier League, una FA Cup e un Community Shield), ma soprattutto crescendo sia sul piano tecnico che su quello umano e imparando tantissimo da uno degli allenatori più navigati e vincenti della storia del calcio: Frank Lampard e Carlo Ancelotti hanno condiviso una bellissima esperienza al Chelsea dal 2009 al 2011. Il primo, tra i migliori centrocampisti di sempre nonché quinto miglior marcatore di tutti i tempi della Premier League con 177 reti in 609 apparizioni, ha poi intrapreso la stessa strada del secondo, appendendo gli scarpini al chiodo nel 2016 e dando il via a un nuovo capitolo della sua gloriosa carriera.
Un’annata più che positiva col Derby County in Championship, con la clamorosa rimonta nella semifinale di ritorno dei playoff col Leeds di Marcelo Bielsa vanificata dal ko in finale per 2-1 contro l’Aston Villa dell’amico ed ex compagno di squadra John Terry a Wembley, poi è arrivata la chiamata impossibile da rifiutare, quella del “suo” Chelsea, con cui dal 2001 al 2014 ha vinto tredici trofei (tre Premier League, quattro FA Cup, una Champions League, una Europa League, due Community Shield e altrettante Coppe di Lega), mettendo insieme 648 presenze e 211 reti tra campionato e coppe. Sulla sponda blu del Tamigi, Lampard ha dovuto fare i conti sin da subito con il transfer ban comminato dalla FIFA ai suoi Blues, che ha impedito loro di rinforzare la squadra sul mercato, decidendo così di approfittarne per lanciare i tantissimi giovani talenti a sua disposizione (i vari Tammy Abraham, Mason Mount, Callum Hudson-Odoi, Reece James, Fikayo Tomori, Billy Gilmour).
Ancelotti, dal canto suo, è tornato ad allenare in Inghilterra lo scorso 21 dicembre, pochi giorni dopo essere stato esonerato dal Napoli dopo poco più di un anno dal suo arrivo, accettando la proposta dell’ambizioso Everton, relegato nei bassifondi della classifica ma desideroso di scalare posizioni in classifica per lottare per un piazzamento in Europa. I Toffees non hanno ancora trovato la continuità necessaria per puntare a classificarsi almeno tra le prime sei, ma il sesto posto dista soli sei punti. L’impegno in trasferta col Chelsea, dunque, non era significativo soltanto per il ritorno a Stamford Bridge di Ancelotti dopo poco meno di nove anni, ma anche per non perdere troppo terreno dalla zona Champions/Europa League.
Lampard, però, ha già dimostrato di essere particolarmente abile nel battere a duello i suoi vecchi allenatori (per informazioni chiedere a José Mourinho, che in tre incontri ufficiali con Lampard, di cui i due di quest’anno tra Chelsea e Tottenham in Premier League e quello dell’anno scorso tra Manchester United e Derby County in Capital One Cup, ha sempre perso) o tecnici ben più esperti di lui come Jürgen Klopp. Così, dopo aver sconfitto il Tottenham dello Special One per 2-1 lo scorso 22 febbraio e aver staccato il pass per i quarti di finale di FA Cup liquidando il Liverpool di Klopp per 2-0 agli ottavi, l’allievo Lampard batte anche l’altro vecchio maestro Carlo Ancelotti, con il Chelsea che rifila un pesantissimo poker all’Everton del tecnico di Reggiolo. Nel giro di quindici giorni, dunque, il classe ’78 riesce nell’impresa di battere tre vincitori della Champions League.
Il 4-0 finale a Stamford Bridge porta le firme di Mason Mount, Willian, Pedro e Olivier Giroud. Il giovanissimo centrocampista inglese, schierato in posizione più avanzata, apre le marcature dopo poco meno di un quarto d’ora di gioco, trafiggendo Pickford con un preciso destro rasoterra sul primo palo. Circa sette minuti più tardi, lo spagnolo ex Barcellona, lanciato a tu per tu con Pickford dall’ex di turno Ross Barkley, non può sbagliare e raddoppia il risultato. L’Everton, messo alle corde già prima della metà di gara, prova a reagire timidamente, con Calvert-Lewin (miglior marcatore dei Toffees con 13 reti in Premier League) che non approfitta di un’incertezza di Zouma, altro ex della gara.
Nella ripresa, il Chelsea continua a tenere il piede ben piantato sull’acceleratore e nel giro di tre minuti archivia la pratica Everton: prima Willian non lascia scampo a Pickford con un preciso e potente destro dalla distanza, poi Giroud infila il pallone in rete da pochi passi. L’entusiasmo del pubblico di Stamford Bridge è alle stelle, mentre la faccia di Ancelotti lascia trasparire tutto il suo disappunto per un ritorno nel suo vecchio stadio che in breve si trasforma da sogno a incubo. Lampard concede uno spezzone di gara a Faustino Anjorin e Armando Broja, entrambi nati nel 2001 e punti fermi dell’Academy dei Blues che continua a sfornare un quantitativo impressionante di potenziali fuoriclasse. Tra questi, spicca Billy Gilmour, che sfrutta al meglio la chance concessagli da Lampard di giocare dal primo minuto per far fronte alla squalifica di Jorginho e agli infortuni di Kanté e Kovačić: il 18enne scozzese, infatti, si aggiudica ancora una volta il riconoscimento di Man of the Match, cinque giorni dopo averlo vinto nel successo col Liverpool in FA Cup.
Prima della gara, Ancelotti e Lampard si abbracciano affettuosamente, sorridendo e scherzando in quella che si preannuncia una giornata particolarmente memorabile per entrambi. Il triplice fischio del direttore di gara Kevin Friend, però, fa felice soltanto Super Frankie, capace di centrare la seconda vittoria consecutiva e l’ottava gara stagionale senza subire reti. Nonostante il suo Chelsea continui a fare i conti con la sfortuna (tra gli infortunati, oltre ai sopracitati Kanté e Kovačić, figurano anche Pulišić, Abraham e Hudson-Odoi, mentre Loftus-Cheek non è ancora pronto per tornare in campo e Willian si è ripreso da poco da un problema al tendine d’Achille), Lampard riesce a tirare fuori il meglio da ogni singolo giocatore della sua rosa. King Carlo, dal canto suo, incassa la sconfitta più pesante della sua carriera da allenatore in campionato: l’ultima squadra a batterlo 4-0 fu l’Atletico Madrid del Cholo Simeone nel 2015, quando il tecnico di Reggiolo sedeva sulla panchina del Real Madrid.
Dennis Izzo
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