Quella tripletta al Brasile e la corsa verso la vittoria dei Mondiali dell’82 contro la Germania. All’età di 64 anni l’Italia perde uno dei suoi più illustri rappresnetanti del mondo calcistico, Paolo Rossi, per tutti Pablito.
Una carriera segnata da un fisico delicato e fragile, con tanti interventi al menisco che, però, non hanno mai fermato la sua voglia di calcare l’erba e di fare la sua parte. Viene notato dalla Juventus quando era ragazzo, ma non ebbe subito fortuna in bianconero. Un periodo tra alti e bassi che ebbe la svolta nel 1978, quende venne chiamato a vestire la maglia della nazionale da Enzo Bearzot. Tra marcature importanti e assist decisivi lasciò il segno.
Nei quattro anni prima del suo più importante successo, Paolo dovette fare i conti con il Perugia e il calcioscommesse. Un duro colpo per la sua carriera e la sua immagine. Ma, in un calcio d’altri tempi e con quel talento, la Vecchia Signora gli dà una chance che lui non spreca. Porta a casa due scudetti, una Coppa Italia, una coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea e una Coppa dei Campioni.
Bearzot è più innamorato di prima e lo chiama di nuovo per comporre il suo scacchiere. Una squadra che in Spagna, nel 1982, trova il Brasile (che in quegli anni avrebbe fatto paura anche alle migliori selezioni di oggi). Come un toro che vede il rosso, Paolo diventa un extraterrestre e ne mette a segno tre. Il biglietto per la finale è già pronto: in semifinale, infatti, gli azzurri risolvono la “pratica Polonia”. Contro i tedeschi, poi, è spettacolo e la Coppa venne alzata al cielo. Da quel giorno divenne Pablito per tutti.
E Paolo Rossi, andato via per un brutto male, ha lasciato a tutti l’immagine di un calcio romantico, di quello dove tutti possono diventare qualcuno, un campione. Dove puoi anche vincere un Pallone d’Oro.
Una carriera segnata non solo dalla Juventus, ma anche da Como, Vicenza, Milan e Verona. Ognuna con una storia, ognuna con un’avventura. Tutte importanti per Pablito, ma mai come quella dell’Italia. Quella stessa Italia che lo saluta e che, ancora, lo ringrazia.
Andrea Lo Giudice
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