La regular season NBA 2023-2024 è giunta al termine e l’attenzione di appassionati di pallacanestro e addetti ai lavori è ormai tutta rivolta ai playoff. In attesa dell’inizio della caccia ai Denver Nuggets campioni in carica, ripercorriamo le migliori tappe della stagione regolare assegnando i personalissimi Awards (premi) della redazione di Vocidicittà. Argomento di dibattito tra gli amanti del basket NBA per mesi e mesi, i riconoscimenti individuali della regular season dividono spesso e volentieri l’opinione pubblica e generano non poche discussioni.
L’NBA non ha ancora assegnato i premi per la regular season 2023-2024. Noi ci siamo portati avanti. Di seguito, le nostre scelte per ogni categoria (MVP, Matricola dell’anno, Difensore dell’anno, Giocatore più migliorato, Allenatore dell’anno, Sesto uomo dell’anno, Miglior squadra e Peggior squadra).
26.5 punti, 12.3 rimbalzi e 9 assist col 58% dal campo e il 36% da dietro l’arco
L’MVP è il premio più discusso e i tanti candidati in corsa per battere il detentore del trofeo (Doncić, Gilgeous-Alexander, Antetokounmpo, tra i tanti) avrebbero tutte le carte in regola per aggiudicarselo. Anche quest’anno, però, Jokić si è rivelato un avversario a dir poco scomodo per chiunque. A suon di prestazioni da incorniciare, impreziosite da 68 doppie doppie e 25 triple doppie (secondo in entrambe le categorie e primo per Player Efficiency Rating e Win Shares), il centro serbo merita il terzo MVP in carriera.
Menzione speciale per il detentore del trofeo, Joel Embiid, tagliato fuori dalla corsa al premio a causa delle troppe partite saltate per infortunio (ben 43 su 82, poco più della metà). Con medie di 34.7 punti, 11 rimbalzi, 5.6 assist e 1.7 stoppate col 53% al tiro e un career-high da 70 punti nella gara vinta contro gli Spurs a gennaio, il centro camerunese avrebbe potuto tranquillamente ambire al bis. La sua assenza si è fatta sentire e non poco, con i Sixers scivolati in zona play-in proprio dopo l’infortunio di Embiid. Senza quest’ultimo, Philadelphia ha perso ben 27 partite su 43.
21.4 punti, 10.6 rimbalzi, 3.9 assist, 1.2 recuperi e 3.6 stoppate col 46.5% dal campo
L’hype generato dal suo arrivo nella lega è stato definito da molti eccessivo, ma è bastato poco tempo a rendersi conto che in realtà fosse più che giustificato. Il mix tra lo sconfinato bagaglio tecnico e lo strapotere fisico è senza precedenti, i numeri non sono da meno. Al suo primo anno in NBA, Wemby ha già battuto innumerevoli record. Tra questi, spicca il primato di giocatore più giovane a rendersi autore di una gara da 5×5 (almeno 5 punti, 5 rimbalzi, 5 assist, 5 palle rubate e 5 stoppate), stabilito lo scorso febbraio contro i Lakers (27 punti, 10 rimbalzi, 8 assist, 5 recuperi e 5 stoppate). Holmgren ha provato a tenergli testa, ma il numero 1 degli Spurs ha legittimato ampiamente il primo posto nella graduatoria dei rookie.
13.9 punti, 13 rimbalzi, 2.1 stoppate col 66% dal campo
Wembanyama avrebbe potuto riscrivere ulteriormente la storia vincendo anche il premio di Difensore dell’anno, ma Rudy Gobert è uno specialista in materia. Il suo connazionale, già vincitore del premio in tre occasioni (2018, 2019 e 2021) è inserito ben sei volte nel miglior quintetto difensivo della regular season, ha cambiato il volto dei Minnesota Timberwolves con la sua presenza sotto canestro. Gobert, infatti, ha permesso ai T’Wolves di diventare la miglior difesa della lega (106.3 punti concessi per partita) e di conquistare il terzo posto a Ovest.
19 punti, 4.6 rimbalzi, 5.1 assist col 44% dal campo e il 38% da dietro l’arco
Altre scelte, tra cui soprattutto un ormai affermato Tyrese Maxey o Jonathan Kuminga, sarebbero state altrettanto valide, ma la crescita di Coby White è stata esponenziale. Al di là dei numeri, peraltro ottimi, il classe 2000 dei Bulls è riuscito a trovare una collocazione ben definita nello scacchiere di Billy Donovan, risultando il terzo miglior realizzatore della squadra e il secondo miglior passatore, dietro DeMar DeRozan. Memorabile il suo career-high da 37 punti con 14/19 al tiro contro Sacramento lo scorso 4 marzo. Rispetto allo scorso anno, White è passato da 9.7 a 19 punti e da 2.8 a 5.1 assist, migliorando anche leggermente dalla lunga distanza (da 37% su 4.6 triple tentate a 38% su poco più di 7 tiri da tre per partita).
Il sopracitato Tyrese Maxey, diventato a tutti gli effetti il secondo violino dei Sixers dopo la partenza di James Harden, ha vissuto un percorso simile, riuscendo anche nell’impresa di far registrare ben tre partite da almeno 50 punti: 50 punti contro i Pacers a novembre, 51 punti contro i Jazz a febbraio e 52 punti contro gli Spurs ad aprile. Il 23enne ha visto aumentare le sue medie di punti (da 20.3 a 25.9), rimbalzi (da 2.9 a 3.7) e assist (da 3.5 a 6.2), ma le sue percentuali sono calate (da 48% a 45% dal campo e da 43% a 37% da tre).
1º posto a Ovest con 57 vittorie e 25 sconfitte
A soli 39 anni, l’head coach degli Oklahoma City Thunder si è reso protagonista di una vera e propria impresa. Se era lecito aspettarsi passi in avanti da OKC, infatti, nessuno avrebbe potuto immaginare che i Thunder sarebbero arrivati così in alto (primo posto con un record di 57-25). I giovani Thunder divertono e producono risultati degni di nota, tra cui numerose vittorie contro squadre di prima fascia. Da quelle parti non vivevano una stagione del genere dal 2013-2014.
Lodevole anche il lavoro di J.B. Bickerstaff e Jamahl Mosley. Il primo, 45 anni compiuti lo scorso 10 marzo, ha chiuso al quarto posto a Est con i Cleveland Cavaliers (48-34), nonostante le tante gare saltate dalla stella della franchigia Donovan Mitchell. Il secondo, coetaneo di Bickerstaff e head coach degli Orlando Magic dal 2021, ha portato la franchigia della Florida al quinto posto con 47 vittorie e 35 sconfitte (miglior regular season dal 2011 per i Magic).
15.4 punti, 2.9 rimbalzi e 5.1 assist col 44% dal campo e il 35% da dietro l’arco
Malik Monk, protagonista della sua miglior stagione in carriera, è stato un vero e proprio fattore per i Sacramento Kings in uscita dalla panchina. Il 26enne ha messo a referto medie di 15.4 punti, 2.9 rimbalzi e 5.1 assist col 44% al tiro e il 35% dalla lunga distanza in 72 partite, di cui tutte da riserva di lusso dei californiani. Inoltre, Monk ha totalizzato almeno 20 punti in 25 partite, offrendo tante prove da applausi, tra cui le gare da 37 punti contro Orlando e da 39 punti contro Minnesota. Terzo in NBA per percentuale da dietro l’arco (44% su 5.1 tentativi a partita).
Monk batte la concorrenza di giocatori del calibro di Naz Reid e Norman Powell, tra gli altri. Il lungo classe ‘99 ha contribuito al terzo posto dei Minnesota Timberwolves con i suoi 13.5 punti e 5.2 rimbalzi di media col 48% dal campo e il 41% da tre in 80 presenze (66 in uscita dalla panchina). L’ex Raptors, invece, ha fatto registrare 13.9 punti col 49% al tiro e il 43.5% dalla lunga distanza in 76 partite (73 da membro della second unit) tra le file dei Los Angeles Clippers.
1º posto a Est con il miglior record della lega (64-18)
Ennesima regular season da applausi per i Boston Celtics, che chiudono col miglior record della lega (64-18), tantissime strisce di vittorie consecutive (di cui 11 tra inizio febbraio e inizio marzo, 9 tra inizio e fine marzo) e appena quattro sconfitte in casa, a fronte di ben 37 successi al TD Garden. Oltre a ciò, la franchigia del Massachusetts detiene il secondo miglior attacco (120.6 punti segnati per gara) e la quinta miglior difesa (109.1 punti concessi a partita). Il tutto nonostante le partenze di giocatori del calibro di Smart, Brogdon e Williams, rimpiazzati egregiamente dagli ottimi innesti di Porzingis e Holiday. Al loro fianco, i soliti Tatum e Brown continuano a dare spettacolo e Horford e White garantiscono solidità e mentalità vincente a una squadra chiamata a confermarsi ai playoff.
14º posto a Est con il secondo peggior record della lega (15-67)
La franchigia della capitale batte a sorpresa la concorrenza dell’unica squadra capace di fare peggio, ossia i Detroit Pistons. Dopo la fine dell’era Bradley Beal, da Washington non ci si aspettava certamente una stagione memorabile. Senza dubbio, però, un roster che vanta ben due campioni NBA, Kyle Kuzma e Jordan Poole, aveva tutte le carte in regola per lottare almeno per un posto al play-in. In questo senso, i Wizards hanno messo sin da subito le cose in chiaro (in negativo), con ben 21 sconfitte nelle prime 23 partite.
Dennis Izzo e Giuseppe Rosario Tosto
Fonte foto in evidenza: Ball Exclusives
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Coordinatore editoriale di Voci di Città, nasce a Napoli nel 1998. Nel 2016 consegue il diploma scientifico e in seguito si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli. Tra le sue tanti passioni figurano la lettura, i viaggi, la politica e la scrittura, ma soprattutto lo sport: prima il calcio, di cui si innamorò definitivamente in occasione della vittoria dell’Italia ai Mondiali 2006 in Germania, poi il basket NBA, che lo tiene puntualmente sveglio quasi tutte le notti da ottobre a giugno. Grazie a VdC ha la possibilità di far coesistere tutte queste passioni in un’unica attività.
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