I Denver Nuggets mettono il punto esclamativo sulla loro splendida cavalcata, conquistando il titolo NBA per la prima volta nella loro storia grazie al successo per 94-89 in gara-5 delle Finals contro i Miami Heat. Questi ultimi non riescono nell’impresa di diventare la prima squadra di sempre capace di vincere il titolo dopo essere arrivata ottava in regular season, perdendo per 4-1 proprio come i New York Knicks – ultima franchigia a raggiungere l’atto finale da ottava prima di Miami – al cospetto dei San Antonio Spurs nel 1999. Il percorso degli Heat rimarrà nella storia e merita di essere celebrato, soprattutto in virtù del successo per 4-1 al primo turno contro i Milwaukee Bucks, testa di serie della Eastern Conference col miglior record della lega, e del 4-3 rifilato ai Boston Celtics in Finale di Conference.
The @nuggets are the 2022-23 NBA Champions! pic.twitter.com/8Kb1HZIkaj
— NBA (@NBA) June 13, 2023
Se due delle grandi favorite di Est sono cadute sotto i colpi di Miami e, soprattutto, di Jimmy Butler, lo stesso non vale per i Nuggets, che hanno fatto valere la propria superiorità sin dalla prima palla a due della serie. Denver diventa così la ventesima squadra a mettere in bacheca un titolo NBA, riuscendovi al primo tentativo assoluto. Un trionfo più che meritato per Nikola Jokić – premiato con l’MVP delle Finals (medie di 30.2 punti, 14 rimbalzi e 7.2 assist col 58% dal campo e il 42% da tre) – e compagni, che in questi playoff hanno finalmente scritto la pagina più importante della storia dei Denver Nuggets e lo hanno fatto nel miglior modo possibile.
Negli anni scorsi, la franchigia del Colorado veniva ritenuta da molti appassionati e addetti ai lavori una squadra divertente e capace di entusiasmare in regular season, per poi sgretolarsi ai playoff. Dopo qualche anno di apprendistato, però, i Nuggets hanno invertito la tendenza e dominato a tutti gli effetti anche la post season, dando continuità al primo posto nella Western Conference e battendo squadre del calibro di Minnesota Timberwolves (4-1 al primo turno), Phoenix Suns (4-2 in semifinale di Conference) e Los Angeles Lakers (4-0 in Finale di Conference). È soprattutto il titolo di Jokić, che non è riuscito a vincere l’MVP della regular season per il terzo anno di fila ma si è consolato ampiamente con quelli delle Finali di Conference e delle Finals e con un anello che porta la sua firma.
Confetti falling like snow, a million miles high. pic.twitter.com/zu9Dgu84Fe
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Il Joker, selezionato con la quarantunesima scelta al Draft 2014, ha recitato un ruolo da protagonista assoluto ai playoff (30 punti, 13.4 rimbalzi e 9.5 assist col 55% al tiro e il 46% dalla lunga distanza in 20 partite, la metà delle quali chiuse con una tripla doppia a referto). Al di là dei numeri, ciò che ha impressionato maggiormente di Jokić è stata la sua capacità di avere un incredibile impatto in ogni partita in tutti i modi possibili, tra canestri e passaggi che sfidano le leggi della fisica, cosa che fino a poco tempo fa gli riusciva spesso e volentieri in regular season ma decisamente con meno frequenza ai playoff.
A 28 anni, il centro serbo ha disputato la miglior stagione della sua carriera, entrando di diritto nella storia dei Denver Nuggets e del basket in generale e dimostrando un’intelligenza cestistica a dir poco ammirevole. Il tutto con un’umiltà senza eguali che lo ha reso un idolo di molti appassionati di NBA. Non è da meno Jamal Murray, che non solo è tornato a esprimersi sui livelli pre infortunio (quelli messi in mostra nella bolla di Orlando tre anni fa, per intenderci), ma è addirittura stato in grado di alzare l’asticella, raggiungendo vette sin qui inesplorate. Al pari di Jokić, con cui forma un duo atomico, il 26enne canadese ha vissuto la miglior annata della sua carriera, facendo registrare medie di 26.1 punti, 5.7 rimbalzi e 7.1 assist col 47% dal campo e il 40% da dietro l’arco.
Nikola Jokic and Jamal Murray are the 1st pair of teammates in NBA history to each average 25+ PPG, 5+ RPG and 5+ APG for an entire postseason. pic.twitter.com/kjVJgKPL1U
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Una coppia a dir poco perfetta quella composta da Murray e Jokić, due giocatori che si completano a vicenda e che, pur essendo da tempo All-Star, sono molto altruisti e coinvolgono i propri compagni in svariate occasioni. Tra questi ultimi, in molti hanno fatto la differenza alle spalle delle due stelle dei Nuggets, contribuendo in maniera determinante al successo di Denver non solo con numeri degni di nota, ma anche e soprattutto portando carattere, grinta e personalità in entrambe le metà campo, a dimostrazione dell’ottimo lavoro svolto dal front office della squadra per costruire una squadra competitiva e ben strutturata in ogni reparto.
Da Bruce Brown a Caldwell-Pope a Aaron Gordon e Michael Porter Jr., tutti in doppia cifra di media ai playoff nonché grandi protagonisti in momenti differenti della serie con Miami e della post season in generale, al veterano Jeff Green, che a 37 anni mette in bacheca il suo primo titolo, fino al rookie Christian Braun, capaci di farsi trovare sempre pronti quando coach Mike Malone li ha chiamati in causa, mettendo in campo intelligenza e spirito di sacrificio sia in attacco che in difesa. Per tutto il roster di Denver, compreso l’allenatore, si tratta del primo, meritatissimo titolo in carriera, ad eccezione di Caldwell-Pope, già campione NBA coi Los Angeles Lakers nel 2020.
NIKOLA JOKIĆ IS AN NBA CHAMPION AND YOUR FINALS MVP. pic.twitter.com/2hBGcFqNVh
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In gara-5, disputatasi al Pepsi Center di Denver, Miami domina in lungo e in largo, dando l’impressione di poter tenere viva la serie e rimandare ogni discorso a gara-6 davanti al proprio pubblico. Nel primo tempo, gli Heat toccano anche la doppia cifra di vantaggio, ma tra il terzo e il quarto quarto i Nuggets rispondono a tono e, nonostante pessime percentuali al tiro da dietro l’arco (5/28 da tre), completano la rimonta a un minuto e mezzo dalla fine, con Bruce Brown che segna il canestro del 90-89. Primo titolo in 47 anni di storia per la franchigia del Colorado, peraltro alle prime Finals disputate.
Nessun’altra squadra nella storia aveva aspettato così a lungo per festeggiare la vittoria dell’anello, ma ne è valsa la pena. Dopo tanti anni di delusioni e occasioni perse, i Nuggets sono finalmente riusciti ad arrivare all’ultimo atto e a mettere le mani sul trofeo più importante di tutti, il Larry O’Brien Trophy, che li fa entrare nella storia dalla porta principale. Per Jokić, l’antieroe per eccellenza che non ama stare sotto i riflettori e ha una grande passione per i cavalli, Murray, che i Nuggets hanno saputo pazientemente aspettare dopo l’infortunio che ha rischiato di comprò mettergli la carriera, e coach Malone, alla guida della squadra dal 2015 e artefice del ritorno ad alti livelli di Denver, il titolo rappresenta la ciliegina sulla torta, il premio ideale dopo anni di duro lavoro e di sconfitte dure da digerire da cui hanno tratto lezioni importanti.
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Non sono da meno i già citati Gordon, Brown, Caldwell-Pope, Porter Jr., Braun e Green. Il primo, in particolare, negli anni trascorsi agli Orlando Magic era visto dai più come un giocatore atleticamente dotato e poco altro, un candidato ideale per la Gara delle schiacciate ma non certo un all around player capace di fare la differenza ad alti livelli. Il classe ‘95 ha smentito i suoi detrattori, al contempo ripagando la fiducia riposta dai Nuggets nei suoi confronti, con ottime prestazioni ai playoff (medie di 13.3 punti, 6 rimbalzi e 2.6 assist col 52% dal campo e il 39% da tre) e una gara-3 da miglior realizzatore dei suoi con 27 punti col 73% al tiro (11/15 dal campo e 3/4 dalla lunga distanza). Il rookie Braun, 22 anni compiuti lo scorso 17 aprile, si è trovato a sorpresa nelle rotazioni di Malone e ha risposto presente, toccando l’apice con i 15 punti con 7/7 da due in gara-3. Caldwell-Pope, Brown, Porter Jr. e Green dal canto loro, hanno completato l’opera con ottime e utili giocate difensive e canestri importanti in momenti decisivi.
La vittoria dei Denver Nuggets fa felici non solo i tifosi della franchigia del Colorado, ma anche i veri appassionati della pallacanestro a stelle e strisce e dello sport in generale, perché è la vittoria di un gruppo compatto e coeso costruito negli anni con intelligenza e lucidità, a dimostrazione del fatto che le idee primeggiano sempre sulle scelte scellerate che spesso e volentieri molte franchigie compiono per vincere l’anello, salvo poi ritrovarsi con un pugno di mosche in mano e un salary cap intasato. Denver ha puntato con decisione su Jokić e Murray e ha costruito attorno ai due All-Star un roster lungo e competitivo, raccogliendo i meritatissimi frutti di un ottimo lavoro.
Dennis Izzo
Fonte foto in evidenza: lemonde.fr
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Coordinatore editoriale di Voci di Città, nasce a Napoli nel 1998. Tra le sue tanti passioni figurano la lettura, i viaggi, la politica e la scrittura, ma soprattutto lo sport: prima il calcio, di cui si innamorò definitivamente in occasione della vittoria dell’Italia ai Mondiali 2006 in Germania, poi il basket NBA, che lo tiene puntualmente sveglio quasi tutte le notti da ottobre a giugno. Grazie a VdC ha la possibilità di far coesistere tutte queste passioni in un’unica attività.
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