Stati Uniti d’America: un Paese, una nazione liberale, interculturale, abitata da gente cosmopolita, ma tanto avvezza all’uso delle armi da fuoco. In realtà l’anima violenta degli USA affonda le proprie radici nel passato, non a caso quando in qualsiasi parte del mondo si parla di Far West si fa riferimento proprio all’America, ovvero a quel continente dove si è compiuto, soprattutto nel 1800, il lungo viaggio di conquista e redenzione dei coloni inglesi divenuti indipendenti, verso l’estrema frontiera dell’Ovest, fino alle coste dell’Oceano Pacifico a suon di colpi di pistola. Fin dalla nascita dello Stato Federale non c’è stata una regolamentazione sull’uso delle armi; infatti chiunque, negli Stati Uniti, da sempre ha potuto andare in giro armato, senza obbligo di porto d’armi e legittimato, nell’eventualità di un pericolo, ad usarle per difesa personale. Tutt’oggi, comprare un fucile a canne mozze negli USA, una Beretta o un mitragliatore automatico, è facile come andare al supermercato alimentare per comprare della pasta. Anzi, sono proprio gli stessi discount a vendere le armi.
In Italia tutto questo fa rabbrividire e oggettivamente, in America, un uso delle armi così spropositato dovrebbe essere limitato da leggi ad hoc. Per gli americani, però, tragedie, genocidi, omicidi a parte, privarli delle armi sarebbe privarli della loro stessa cultura, dell’ideale all american del self-made man che, in quanto uomo che si forma e fa da sé, dev’essere in grado, ovviamente, di sapersi difendere da solo, soprattutto con e per mezzo dei bei giocattoli mortali che il mercato confeziona. Non stupiscono, a questo punto, gli innumerevoli video su YouTube di ragazzini americani che, durante il loro compleanno, scartano un fucile a pompa nuovo di zecca regalato dai nonni; ma se così stanno le cose, negli United States of America, non dovrebbero stupire neanche i video e le foto della strage di Denver (tanto per citarne una clamorosa), degli omicidi nelle scuole, dei barboni ammazzati per strada con un colpo in testa, in quanto tutti questi avvenimenti sono diretta emanazione e conseguenza del comportamento degli stessi americani. Invece, periodicamente, si assiste al melodrammatico discorso del Presidente degli Stati Uniti d’America, bianco o nero che sia, e alle promesse del Congresso su nuove leggi che cambieranno il DNA del Paese, imponendo (chissà quando) rigide regole per la regolamentazione sulla diffusione e l’uso delle armi da fuoco in territorio americano. Nel caso specifico, l’immagine di Barack Obama è quella di un Presidente avvilito, bloccato, ostruito nelle proprie scelte; non appare per niente come l’uomo più potente del mondo, bensì sembra piuttosto un “ominicchio” che aspetta da anni una forte riforma (forse più di una, si pensi a quella sulla sanità privata e pubblica) e magari, a maggior ragione, per la riforma delle armi si augura un accordo bipartisan, non tenendo conto di non avere la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti.
La verità è che le lobby della politica statunitense non hanno, e non hanno avuto mai, alcun interesse a votare simili riforme abrogative o limitanti lo smercio delle cosiddette guns. Il motivo è che la vendita di armi produce una buona fetta del Prodotto Interno Lordo (PIL) americano. Basti pensare che il numero di possessori di fucili, pistole e mitragliette, negli Stati Uniti, è cresciuto in percentuale dal 2011 al 2013 del 19% circa: numeri che tradotti in cifre reali rappresentano decine di milioni di americani armati o comunque detentori di armamenti. Il problema degli americani, dunque, oltre che essere di natura culturale è anche di tipo economico e nessuna superpotenza, specialmente gli Stati Uniti, rinuncerà mai a tali agi offerti dal mercato. In conclusione, che gli statunitensi si tengano le loro armi, ma non versino una lacrima per i propri morti.
Alberto Molino
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Fondatore di Voci di Città, ex direttore responsabile dello stesso, ora cura la rubrica di tecnologia di NewSicilia, ha lavorato al Quotidiano di Sicilia, ha collaborato con Sicilia Journal, ha pubblicato un romanzo e un racconto, ha 26 anni ed è laureato in Scienze della Comunicazione. Quando ne aveva 18 ha vinto un premio nazionale per avere diretto il migliore giornalino scolastico del Paese. Definito da alcuni fascista e da altri comunista, il suo vero orientamento politico non è mai stato svelato, ma una cosa è certa: Molino non lo ferma nessuno, tranne forse la sua ragazza.