Negli ultimi mesi, si è posto al centro del dibattito politico il tema relativo alla trascrizione presso l’anagrafe comunale dei figli delle coppie omogenitoriali. Fino al 19 gennaio 2023, il Ministero dell’Interno non aveva mai emanato delle circolari in merito, lasciando ampia discrezionalità in capo ai Sindaci di ciascun Comune. Infatti, gran parte dei Comuni italiani aveva proceduto a trascrivere, a fronte del vuoto normativo dovuto alla mancanza di intervento del legislatore italiano. Dunque, a gennaio 2023, il Ministro Matteo Piantedosi ha promulgato una circolare, con la quale ha comunicato alle Prefetture radicate sul territorio e alle amministrazioni comunali di cessare di trascrivere i figli di coppie omogenitoriali nati in Italia ed a seguito di gestazione per altri (o maternità “surrogata”). Da quel momento, ha preso vita un’animata discussione politica, e molti Sindaci hanno continuato a trascrivere all’anagrafe i figli delle coppie omogenitoriali.
Nel frattempo, alcune Procure della Repubblica hanno impugnato gli atti di nascita trascritti dai Sindaci negli anni precedenti (in particolare quella di Padova, che ha impugnato 33 atti di nascita trascritti dal 2017 ad ora, e quella di Milano, che si è vista rigettare l’impugnazione in primo grado di tre certificati con due madri ed accogliere quella relativa a due padri). Tutto questo mentre l’Unione Europea ha messo sul banco il Regolamento Unico di Filiazione (che chiede che in tutti gli Stati membri siano riconosciuti i diritti delle famiglie omogenitoriali), suscettibile di applicazione all’interno degli Stati membri (fra cui l’Italia), ma che il Governo si sta rifiutando di ratificare in Parlamento. Ma andiamo ad analizzare la questione meglio, alla luce delle più importanti pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione italiana: questi organi, espressione del potere giudiziario, si sono viste costrette a porre rimedio alle lacune del legislatore, che nonostante i numerosi solleciti non ha mai esercitato il proprio potere in questi anni.
Per meglio comprendere su quali aspetti è incardinato l’attuale dibattito politico, è opportuno chiarire che differente è il trattamento riservato alle coppie omosessuali ed eterosessuali che effettuano la fecondazione assistita (nello specifico, l’inseminazione artificiale o la fecondazione in vitro, utilizzando gli ovuli della donna partoriente membra della coppia), e il trattamento invece riservato alle coppie omosessuali ed eterosessuali che si avvalgono della gestazione per conto di altri (in sintesi, impiantando il proprio o l’altrui ovulo all’interno di una donna soggetto terzo, non facente parte della coppia omosessuale o eterosessuale, che si occuperà di portare avanti la gravidanza per conto della coppia, e che a seguito del parto non risulterà genitore).
A tal riguardo entra in gioco la legge n. 40 del 2004, che ha disciplinato la procreazione medicalmente assistita. Tale normativa consente la fecondazione assistita a determinate condizioni nel nostro Paese, ma impone la diversità di sesso per accedere alle pratiche di fecondazione: di conseguenza, una coppia eterosessuale potrà effettuare la fecondazione assistita in Italia, ed una coppia omosessuale composta da donne che voglia portare avanti una gravidanza, con il proprio ovulo e con il proprio corpo, non potrà accedere alla pratica in Italia. Sempre la medesima legge, prevede invece che la gestazione per conto di altri (maternità surrogata) sia un reato nel nostro paese, e debba considerarsi vietata: a fronte di ciò, le coppie omosessuali e le coppie eterosessuali non potranno avvalersene in ogni caso nel nostro Paese. Dunque, in sintesi emerge un divieto generale presente nel nostro paese per la gestazione per conto di altri, ma non per la fecondazione assistita.
Alla luce di tutto ciò, se una coppia omosessuale (composta da due donne) decide di effettuare la fecondazione assistita all’estero, sussistendo in Italia il requisito della diversità di sesso, oppure se una coppia omosessuale o eterosessuale decide di effettuare la gestazione per conto di altri (maternità surrogata), sussistendo un divieto generale in Italia per questa pratica, le conseguenze saranno diverse. Infatti, la legge relativa al riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di famiglia esige il concorso della non contrarietà all’ordine pubblico, dell’avvenuto rispetto dei diritti essenziali della difesa, e che i provvedimenti siano stati assunti dalle autorità dello Stato.
Di conseguenza, gli organi giudiziari si sono dovuti interrogare sulla sussistenza o meno della violazione dell’ordine pubblico, e dunque anche su cosa si dovesse intendere con tale concetto.
Inizialmente, nel 2016 la Corte di Cassazione aveva adottato una tesi estensiva, consentendo la trascrizione, valorizzando il c.d. ordine pubblico internazionale in una prospettiva di apertura verso gli ordinamenti esterni: i principi interni dell’ordinamento interno che mantengono rilevanza sarebbero solo quelli dedotti in Costituzione, Carta di Nizza, CEDU, che non potrebbero essere sovvertiti dal legislatore ordinario. Tra i principi fondamentali inderogabili, sottratti alla discrezionalità legislativa, vi sarebbe la tutela dell’interesse superiore del minore sotto il profilo dell’identità personale e sociale, a conservare lo status di figlio, ed in seguito alla nascita di continuare ad avere una famiglia. Precisamente, il caso riguardava una coppia di due donne che, invece di ricorrere alla fecondazione assistita, avevano deciso di utilizzare il c.d. metodo ROPA: ad una apparteneva l’ovulo, che era stato impiantato all’altra che aveva partorito il figlio.
Nel 2019, vi è stato un ritorno alla concezione intermedia dell’ordine pubblico a seguito di un intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Secondo questa impostazione, il concetto di ordine pubblico internazionale non può essere limitato ai soli principi supremi dell’ordinamento, ma deve comprendere anche le norme di rango legislativo, espressive di istanze fondamentali, che concorrono a formare i valori fondanti dell’ordinamento in un certo periodo storico. La Cassazione ha ritenuto quindi che il riconoscimento dell’efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero, con cui si accerti che il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero tramite il ricorso alla maternità surrogata e il genitore d’intenzione munito di cittadinanza italiana, trovi un ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità previsto dalla legge n. 40 del 2004 (di cui si è parlato all’inizio). Infatti, la gestazione per conto di altri è sanzionata da una norma imperativa, e secondo la Corte integra un principio di ordine pubblico. Sempre secondo la Corte, il divieto non pregiudica i diritti del figlio sanciti a livello internazionale, dovendosi applicare la normativa relativa all’adozione. Per la precisione, si specifica che il caso riguardava una coppia di due uomini che avevano ottenuto un figlio in Canada, mediante la donazione del seme di uno dei due e di un ovocita donato da una donna, immesso nell’utero di una donna disposta a sostenere per loro la gravidanza.
La questione era nuovamente stata sollevata nel 2021 davanti alla Corte Costituzionale. In questa occasione la Corte ha confermato che il divieto penalmente sanzionato di surrogazione di maternità della legge n. 40 del 2004 costituisce un principio di ordine pubblico. Tuttavia, al contempo ha rilevato l’inadeguatezza del sistema normativa italiano vigente rispetto all’esigenza di tutela del best interest del minore. Secondo la Corte, la tutela dell’interesse del minore comporta la necessità di ricercare la soluzione ottimale per quest’ultimo, che può coincidere con il riconoscimento giuridico del legame che lo lega col genitore di intenzione. Dunque, menzionando quanto previsto dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel 2014, la Corte ha rilevato che è necessario che ciascun ordinamento garantisca la concreta possibilità del riconoscimento giuridico dei legami tra il minore e il genitore d’intenzione, fermo restando che rientra nella discrezionalità di ogni Stato la scelta dei mezzi con cui pervenire a tale risultato. Un ruolo importante può a detta della Corte essere svolto dallo strumento dell’adozione, nella misura in cui lo stesso sia effettivo e celere, e consenta di costruire un legame di vera e propria filiazione tra adottante e adottato. Alla luce di ciò, la Corte ha rilevato che la sola adozione in casi particolari prevista dalla legge del 1983 non possa ritenersi idonea ad assicurare il best interest del minore: infatti, non attribuisce la genitorialità all’adottante, e postula il necessario assenso del genitore biologico (che potrebbe non essere prestato in situazioni di sopravvenuta crisi della coppia). In conclusione, la Corte Costituzionale ha nel 2021 espresso la necessità di adeguare il diritto alle esigenze della tutela del minore, rilevando però che spetti unicamente al legislatore operare una modifica legislativa.
Nel 2022, a fronte della perdurante inerzia del legislatore, la Corte Costituzionale si è nuovamente pronunciata, evidenziando che, in carenza di un intervento sul tema da parte del Parlamento, lo strumento dell’adozione in casi particolari possa sopperire al vuoto normativo, per il riconoscimento dei figli delle coppie omogenitoriali nati a seguito della maternità surrogata.
Vale la pena quindi operare alcune precisazioni sintetiche: tutto quanto evidenziato ha valore soltanto nel caso in cui la coppia abbia adottato pratiche riconducibili alla gestazione per altri (o maternità surrogata).
Nel caso in cui una coppia omosessuale ricorra alla fecondazione assistita e non alla maternità surrogata (per forza di cose quindi una coppia composta da due donne), la gestante partorisca all’estero e venga così a formarsi un valido atto di nascita all’estero recante l’indicazione di entrambe le madri, potrà essere chiesta la trascrizione di detto atto in Italia, e qualora l’ufficiale di stato civile si rifiutasse di adempiere, si potrà agire in giudizio affinché venga ordinata la doverosa trascrizione. Si precisa che ciò valga soltanto se il parto avvenga all’estero e non sia stata utilizzata la tecnica della maternità surrogata, perché altrimenti nel primo caso (parto in Italia) non potrà validamente formarsi un atto di nascita recante l’indicazione delle due madri (non essendo previsto dalla legge italiana), mentre nel secondo caso sussisterà la violazione dell’ordine pubblico, e l’unica strada consentita sarà quella dell’adozione in casi particolari. In questo caso, quindi, il genitore biologico (che dovrà dare il proprio consenso) e il genitore di intenzione dovranno adire il tribunale ordinario, dando dimostrazione del legame instauratosi con quest’ultimo, mettendo in conto una dilatazione dei tempi necessari (circa due anni).
Per quanto riguarda invece le coppie omosessuali composte da due uomini (che per forza di cose dovrebbero ricorrere alla gestazione per altri\maternità surrogata), a fronte del divieto di surrogazione di maternità che secondo la Corte rappresenta una norma imperativa a tutela dell’ordine pubblico, a prescindere dal luogo di nascita del minore e dalla valida formazione di un atto di nascita all’estero, l’unica strada praticabile sarà quella dell’adozione in casi particolari. Anche in questo caso, il genitore biologico (che dovrà prestare il proprio consenso all’adozione) e il genitore di intenzione dovranno adire il tribunale ordinario, dando dimostrazione del legame instauratosi con quest’ultimo, mettendo in conto una dilatazione dei tempi necessari (circa due anni).
L’Unione Europea ha promulgato il Regolamento di Filiazione Europa, con il quale si prevede l’introduzione di un certificato unico di filiazione, attraverso il quale verrebbero riconosciuti i diritti delle famiglie omogenitoriali e dei loro figli. Nonostante ciò, la Commissione Politiche Europee al Senato ha votato a favore di una risoluzione presentata da Fratelli d’Italia che sostiene che l’obbligo di riconoscimento del certificato di filiazione europeo non rispetti i principi di sussidiarietà e di proporzionalità: tale risoluzione risulta però essere contraria alle indicazioni dell’Unione Europea. Alla luce della travagliata vicenda, resta da vedere quali saranno i prossimi sviluppi.
Stefania Piva
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È nata e vive a Milano, laureata in giurisprudenza all’Università Statale di Milano, ha svolto la pratica forense presso l’Avvocatura dello Stato di Brescia, e si è specializzata presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell’Università Statale di Milano. Da sempre appassionata di politica e giornalismo, ha scritto in precedenza per il giornale locale ABC Milano.