Osannato e ricordato come pochi. In appena 24 ore dalla morte di Diego Armando Maradona, televisioni di tutto il mondo e web hanno dedicato al campione argentino speciali, servizi, programmi e foto. Un impatto mediatico di grandi proporzioni per il decesso di per quello che, senza dubbio, rappresenta uno dei più grandi talenti calcistici e sportivi (per alcuni il migliore). Un uomo che con le sua gesta atletiche ha messo in risalto armonia muscolare e genio. Un calciatore che con i suoi gol ha fatto sognare tifosi e popoli interi, napoletani e argentini su tutti.
Per questi ultimi ha rappresentato la rivincita dei più deboli (argentini) nei confronti dei più forti (inglesi). Il gol, anzi, i gol dell’86 sono stati emblema di rivalsa di un intero popolo falcidiato dalla guerra per l’egemonia sulle isole Falkland. Oltre che una meraviglia per gli occhi: indimenticabile il “Barrilete cosmico”. Per i partenopei la vittoria di due scudetti e la rinascita di una città intera. Tutti elementi che bastano per rimanere indimenticabile e segnare la storia. Tutti elementi che bastano per essere ricordato da tutti, appassionati e non di calcio, rivali in campo e fuori. Giusto rendergli memoria e omaggio per quello che ha fatto. Sì, ma sul campo.
Sono 3 i giorni di lutto nazionale proclamati in Argentina, 1 a Napoli per la morte di Maradona. C’è chi piange, chi chiede di dare allo stadio il suo nome, chi di creare degli spazi per i più piccoli e i giovani dove si allenava, chi di ritirare le maglie numero 10 dal calcio, chi disegna murales, chi lo accosta ai Santi. Ognuno lo ricorda a modo suo, ma qualcosa potrebbe anche stonare.
Nel periodo di emergenza sanitaria e con un’Italia divisa in zone, con divieti di aggregazione, coprifuoco e funzioni religiose non sono mancati e non mancano gli assembramenti davanti allo stadio San Paolo e nei quartieri Spagnoli. Centinaia di persone si sono riversate in strada, alcuni anche senza mascherine. Dal pugno duro per la chiusura alla gente per le vie del capoluogo campano, in alcune zone trasformato in museo. Situazione diversa in Argentina, dove si è creato un vero e proprio pellegrinaggio verso la camera ardente.
Ricordare Maradona per le gesta atletiche è innegabile, così come per quello che ha rappresentato per la sua nazionale e per il suo Paese. Tuttavia, accostarlo a una divinità (se non meramente nel senso metaforico del termine), neanche fossimo nell’antico Egitto, sembra essere troppo e potrebbe risultare offensivo per chi è credente. La sua morte e la sua immensità calcistica non possono certamente cancellare la sua vita sregolata, contornata dalla droga, dall’evasione fiscale e non solo. Tutti crimini che condannerebbero pesantemente chiunque altro. Un uomo come tutti, soggetto a errori. Modello sì per l’opposizione ai poteri forti, ma meno esemplare sotto altri punti di vista.
Un calciatore “senza allenatore”: si univa al gruppo a suo piacimento (forse anche questo il segreto del suo talento). Comportamento inaccettabile nel moderno mondo del pallone, dove probabilmente non avrebbe avuto vita facile. Cosa impensabile in uno sport che, invece, deve veicolare valori sociali e che ha bisogno di campioni che siano immagine di dedizione, passione e sacrificio.
Lo stesso dove il “10” è simbolo del fantasista e del più tecnico e imprevedibile. E se Andrè Villas Boas avanza l’ipotesi che la Fifa possa ritirare tutte le maglie con quel numero, non sappiamo cosa potrebbero pensare estri come Michel Platini, Ruud Gullit, Ronaldinho o, per rimanere in casa, Roberto Baggio.
Chapeau alle iniziative nobili che possano invece richiamare l’attenzione e l’interesse sociale, come associazioni con il suo nome o la riqualificazione di luoghi e spazi dove si allenava.
E se il gol fosse stato annullato? Se la storia fosse stata diversa? Non una polemica, non un’istigazione, ma solo un invito a riflettere e ad analizzare il “Fenomeno Maradona” sotto tutti i punti di vista, evitando di sminuire o dimenticare i suoi errori e rischiare di “offendere” e urtare la sensibilità degli altri.
Andrea Lo Giudice
Fonte foto: Il blog di Sasà
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Sin da piccolo con la passione dello sport e con un occhio incantato e innamorato per il calcio. Il fisico e la tecnica non hanno garantito un grande successo sportivo e i videogiochi hanno “rovinato” la mia esistenza facendo nascere la vena e passione giornalistica. Da lì, anni a sognare e a lottare per raggiungere un obiettivo, raggiunto solo in parte. Ma, mai fermarsi. Tante le esperienze: televisive, radiofoniche e web. Non si sa mai dove si arriverà, ma bisogna sempre crederci. Capendo che il giornalismo non è solo ciò che piace e che, a volte, si possono trovare anche altri argomenti e stimoli interessanti.
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