Il 6 febbraio, Massimo Bottura ha ricevuto la Laurea ad honorem in Direzione Aziendale presso l’Università degli Studi di Bologna. La cerimonia, tenutasi presso l’Aula Magna Santa Lucia si è aperta con l’esecuzione musicale del Collegium Musicum Almae Matris. A pronunciare la Laudatio è stato Max Bergami, professore di Organizzazione Aziendale dell’Alma Mater e Dean della Bologna Business School, cui è seguita la lettura della disposizione dipartimentale di Carlo Boschetti, Direttore del Dipartimento di Scienze Aziendali. A seguito della proclamazione, lo chef ha tenuto una Lezione magistrale.
BOLOGNA – «Bisogna prendersi molto tempo per pensare, ma poi realizzare velocemente quello che si è pensato». Con questa citazione dello stesso Bottura, Francesco Ubertini, rettore dell’Università di Bologna, ha iniziato la presentazione della cerimonia, spiegando anche le motivazioni che hanno portato al conferimento della Laurea ad Honorem in Direzione Aziendale allo chef-imprenditore. Cultura culinaria, tradizione, sapienza nell’accostamento delle materie prime, creatività aziendale e impegno sociale sono gli elementi caratterizzanti di un uomo che ha saputo trasformare una passione, quella per la cucina, in una vera e propria forma d’arte. Ubertini ha sottolineato, poi, l’importanza che hanno i gesti e la manipolazione del prodotto e dei cibi, compreso il valore specifico che ogni piatto assume, facendone di esso un prodotto dotato di un tasso di creatività e specificità evidente. Per questo, molto spesso, Bottura parla della sua cucina accompagnandola all’arte di grandi artisti, come Lucio Fontana, o di grandi musicisti come Thelonious Monk. Agendo come farebbe un artista, Bottura vuole trasformare un’esperienza visiva e commestibile in qualcosa che lo ha coinvolto personalmente: un’esperienza, un paesaggio, una cultura lontana; ma per arrivare ai risultati finali, quest’esperienza deve passare attraverso moltissime elaborazioni, sia mentali che concrete. Così, per Bottura la tradizione è una conquista complessa, non è mai un dato di fatto acquisito. C’è un piatto di Bottura che prende il nome da un gioco di parole che si chiama Tutte le lingue del mondo: partendo da una materia prima popolare, Bottura ha creato un percorso di meditazione intorno ai rapporti tra le culture, innestando, qui, anche la sua azione di uomo impegnato attivamente nel sociale. «Non so se per lui questa laurea rappresenti la realizzazione di uno dei suoi tanti sogni – conclude il rettore dell’Università – ma noi lo accogliamo nella nostra comunità come uno sperimentatore, un artista, un imprenditore, ma anche, soprattutto, come un uomo che sa dare un valore condiviso ai risultati del suo successo e della sua fortuna».
«Massimo Bottura rappresenta un caso esemplare di gestione di una piccola impresa familiare italiana, raggiungendo in pochi anni un successo senza precedenti e una notorietà a livello globale» – si legge nella motivazione di laurea. «Dal punto di vista aziendale ha realizzato una deliberata strategia di crescita, volta allo sviluppo della qualità e alla visibilità internazionale, mediante visione, capacità imprenditoriale, creazione e gestione del team, innovazione di prodotto e raggiungimento di un livello di servizio molto elevato». Leggendo queste parole, Max Bergami ha pronunciato la Laudatio. Al professore è stato affidato anche il compito di raccontare chi è Massimo Bottura, delineandone la biografia.
Bottura nasce a Modena il 30 settembre 1962. Dopo la maturità, nel 1984, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Modena, non portando a termine, però, il percorso accademico. Nel 1986 decide di non entrare nell’azienda famigliare e diventa imprenditore acquistando una trattoria a Campazzo, vicino a Nonantola, dove lavora di fianco a Lidia Cristoni, apprendendo le basi della cucina emiliana. Successivamente, approfondisce la cucina francese classica con Georges Cogny e, nel 1994, studia con Alain Ducasse nel suo le Louis XV a Montecarlo in uno stage di alcuni mesi. Dopo un periodo a New York, rientra a Modena per rilevare, nel 1995, un’osteria tradizionale nel cuore della città: l’Osteria Francescana. Bottura diventa sinonimo di creatività: le tre stelle Michelin conseguite nel 2011 e il primo posto nella World’s 50 Best Restaurants annunciato a New York nel 2016, il quale consacra l’Osteria Francescana come miglior ristorante italiano, sono solo gli ultimi riconoscimenti ottenuti dallo chef. Nel 2016 Bottura partecipa all’ideazione e alla creazione, presso l’ambasciata italiana a Washington della Settimana della cucina italiana all’estero, voluta dall’allora Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Infine, è doveroso citare gli innumerevoli progetti di Bottura nell’ambito sociale e della solidarietà: nel 2012, dopo il terremoto che sconvolse l’Emilia compromettendo molte attività produttive, Bottura si mobilitò immediatamente promuovendo una serie di iniziative e di eventi a supporto dei produttori di Parmigiano Reggiano, i quali avevano rischiato di perdere centinaia di prodotti e un capitale di migliaia di euro. In occasione dell’Expo, nel 2015, nasce il Refettorio Ambrosiano, un progetto organizzato assieme alla Caritas di Milano con il coinvolgimento di grandi designer italiani e dei principali chef mondiali. La sfida è duplice: da una parte, la trasformazione di una vecchia parrocchia di periferia in un luogo di bellezza dedicato a chi ha necessità di trovare uno spazio in cui sfamarsi; dall’altro, l’utilizzo delle materie prime avanzate nell’attività di ristorazione di Expo. Il refettorio ha avuto un grande successo, diventando un format e dando vita all’associazione FoodForSoul. Partendo dalla stessa idea, in occasione delle Olimpiadi di Rio, nel 2016 nasce il RefettoRio, con l’obiettivo di dar da mangiare alle migliaia di affamati residenti nelle favelas brasiliane.
«Con il rispetto di tutta l’Alma Mater e al laureato qui presente, mi sia consentito dire che questa laurea ad Honorem è anche una laurea a tutta la cucina italiana, ai produttori e ai distributori dei prodotti italiani all’estero» – conclude Max Bergami. «L’Italia sta attraversando una crisi profonda, è un Paese che ha perso la fiducia e non sogna più. Mai come ora è necessaria la testimonianza di chi crede in progetti apparentemente impossibili e gioca tutta la propria esistenza per un sogno. Pensando soprattutto ai giovani, che hanno un bisogno vitale di speranza, credo che Massimo Bottura, l’Osteria Francescana e tutto il suo staff siano un esempio concreto di come anche i sogni che, all’apparenza risultano impossibili, si possano realizzare. Se l’ha fatto lui, se l’hanno fatto loro, allora è possibile».
Applausi abbondanti accompagnano la proclamazione. Prima di terminare, viene data parola allo stesso Massimo Bottura, il quale, visibilmente emozionato, attacca dedicando alla mamma, scomparsa nel 2014, questo traguardo inaspettato. Egli racconta il percorso dell’Osteria Francescana definendola una “bottega rinascimentale”: la sua cucina non è, infatti, solo esaltazione della tecnica, ma soprattutto ricerca continua di stile e cultura. Un laboratorio di idee con lo scopo di raccontare storie personali, arte, tradizione e innovazione all’interno dei piatti proposti. «Ogni servizio è una finale di Champions League. Si vince o si perde. A noi piace vincere. Può andar male, a volte, ma è da lì che devi imparare e migliorarti. Niente è come lavorare in gruppo: le soddisfazioni condivise sono quelle che durano una vita intera»: con queste parole, Bottura ha ringraziato il suo staff e sottolineato l’importanza fondamentale che ha per lui il lavoro di squadra. Lo chef non ha paura degli errori, anzi, ha capito che solamente dagli sbagli e da un’incessante curiosità si possono ottenere i risultati e il successo che sta avendo ora. Questo concetto è racchiuso tutto nel piatto Oops! Mi è caduta la crostatina al limone, definito da lui stesso come la «ricostruzione perfetta dell’imperfetto». Cultura, consapevolezza, senso di responsabilità, apertura mentale ma soprattutto una grande umiltà sono il segreto del successo di Massimo Bottura, il quale conclude il suo discorso con un aneddoto raccontatogli più e più volte da sua mamma: «Mia madre mi raccontava incredibili storie sulla campagna mantovana, sui contadini che trovavano i tartufi e li bollivano, convinti che fossero patate matte. […] Eravamo partiti con il proposito di celebrare il tartufo e abbiamo finito per rendere un tributo a qualcosa di radicalmente diverso: l’umiltà. Non tutti possiamo essere tartufi, per la maggior parte siamo patate. Ed è bello essere patata».
Sara Forni
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