La notizia circa l’isolamento del coronavirus ha gonfiato d’orgoglio il petto dell’Italia. Il team dello Spallanzani di Roma, di fatto, ha permesso al nostro Paese di fregiarsi del primato in Europa. Un risultato formidabile, raggiunto da un team di sole donne: Maria Capobianchi, 67enne nata a Procida; Concetta Castilletti, 56 anni di Ragusa e Francesca Colavita, giovane ricercatrice (30 anni) di Campobasso. Il mezzogiorno d’Italia si dimostra ancora una volta fucina di inestimabile valore e questa non è una scoperta. Infatti è soprattutto la più giovane della squadra ad aver attirato le attenzioni su di sè. Una scienziata esperta nel settore, adesso capace di raggiungere un risultato storico a livello scientifico. Francesca Colavita, però, è stata una precaria fino ad ora.
Di Francesca Colavita, nel Bel Paese ce ne sono fin troppi. Menti eccellenti costrette a contratti non all’altezza, ad alcuna prospettiva sicura per la loro carriera e la loro passione. I tagli fatti in questi ultimi anni alla ricerca e all’istruzione cominciano a farsi sentire. Chi può va all’estero, consapevole di trovare campo fertile per il proprio sapere, ma distante dagli affetti e dalla propria terra. Ma c’è anche chi sceglie, volutamente, di restare qui. Risorse inestimabili che l’Italia stessa dovrebbe cullare, accudire. E invece per tutti questi giovani coraggiosi non c’è altro che fatica e precariato.
I dati dell’Eurostat sono al dir poco impietosi. Nel 2017, secondo l’ultima rilevazione dell’ufficio statistico, l’Italia ha investito nell’istruzione pubblica e nella ricerca solo il 7,9% rispetto all’intera spesa pubblica. Un passo indietro importante, se si va indietro di 8 anni (2009): a quei tempi l’investimento ammontava al 9%. Solo 1,1% di percentuale, diranno in molti. Eppure quel punto di percentuale si tramuta in miliardi, utili per accrescere un settore ormai in miseria nel nostro paese, nonostante i risultati formidabili. Per fare un esempio la Grecia e la Romania, addirittura sopra, investono rispettivamente l’8,2% e l’8,4%. E per fare un altro termine di paragone verso l’alto, sempre nel 2017, la Germania ha investito il 9,3%, la Francia il 9,6% e il Regno Unito addirittura l’11,3%. Se poi si guarda alle primissime posizioni, come sempre, la spunta l’Islanda con la percentuale spaventosa del 17,4% (completano poi il podio Svizzera e Cipro a 16,5% e 15,3%)
Le percentuali vanno rapportate alla spesa pubblica. Ovvio, dunque, che se l’Italia ha una spesa pubblica maggiore rispetto ad altri Stati, a livello di cifre si posizionerebbe avanti a tante realtà europee. Se si guardano le percentuali però, i risultati sono in linea con quanto descritto sopra. Le percentuali servono a capire, in proporzione, quanto l’Italia investe in determinati settori. E capite bene che, seguendo l’esempio dell’intera istruzione pubblica il 7,9% è davvero poco. Specie se in continuo calo dal 2009. Specie se gli investimenti pubblici italiani sono davvero ingenti.
Andando avanti, dando un’occhiata all’investimento nel solo campo universitario si evince il totale disinteresse dei precedenti governi nei confronti della futura classe dirigente, dei ricercatori, dei vari Francesca Colavita. Nel 2007 l’investimento, sempre secondo Eurostat, ammontava a 7,3 miliardi di Euro. Cifra abbassata notevolmente nel 2009: 6,8 miliardi. Passando infine al 2017 arriviamo a soli 5,5 miliardi. Come detto, se dovessimo guardare i milioni in sè ci troveremmo più o meno a metà classifica. E in percentuale, quanto spende l’Italia sull’educazione terziaria rispetto agli altri? Prima posizione? Troviamo sempre l’Islanda, con il 4,1%. A seguire, ovviamente, tanti paesi nordici che oscillano sul 3%. E poi c’è l’Italia, con il solo 0,7%, penultima.
Se infine si volesse vedere in percentuale il rapporto con il PIL (nei dati dell’Eurostat basta spostare l’unità di misura a GDP) anche qui l’Italia occupa le ultime posizioni grazie al 3,8%, davanti solo a Slovacchia, Bulgaria, Irlanda e Romania ultima. Per fare l’ennesimo paragone in alto la sempre prima Islanda è al 7,5%.
I numeri vengono poi surclassati da risultati unici come l’isolamento del coronavirus. Il risultato resterà per sempre e sarà sempre grande motivo d’orgoglio. Ma gli stessi numeri parlano chiaro: l’Italia fa sempre meno il possibile per trattenere le proprie menti nel suo territorio.
Francesco Mascali
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