Dopo Non passare per il sangue è stato presentato a Catania, nella libreria Cavallotto di Corso Sicilia 91, giorno 4 giugno, il secondo libro di Edoardo Savarese dal titolo Le inutili vergogne, un romanzo di lingua, perturbante e autentico, avente come tema principale la carnalità e la santità. «La carne che ciascuno di noi si porta addosso è sacra, ma purtroppo è una dimensione totalmente trascurata perché la Chiesa ci ha insegnato a nasconderla», queste le parole dell’autore. Il sacro attraversa il racconto tramite il personaggio di zia Gilda prima e di padre Vittorio dopo, ma il protagonista principale resta Benedetto con le sue paure e la rispettabile professione. Il dottore, però, nasconde una doppia vita: ginecologo di giorno e collezionista di maschi di notte; si tratta di altri uomini che posseggono anche loro un’esistenza di facciata all’insegna di un’omosessualità celata. L’argomento dominante rimane comunque, per tutto il racconto, il corpo, elemento che Saverese destreggia magistralmente durante l’intera descrizione della vita di Benedetto, a cominciare dal suo rilevante lavoro per finire alla collezione maniacale di Barbie. Le bambole rappresentano il rapporto con la fisicità, così come il suo stesso mestiere, che mettendolo in diretta relazione con i genitali femminili, racconta l’esperienza di sentirsi un po’ donna.
«È solo attraverso il superamento del disgusto che si può raggiungere una piena libertà sessuale e superare il senso del peccato» tuona Saverse. Il personaggio principale raffigura l’uomo tipico della contemporaneità; infatti, l’inizio della vicenda si apre a Napoli, sotto il Vesuvio, con una serie di finestre virtuali aperte contenenti chat con svariati uomini che il protagonista intrattiene amabilmente, come fa d’altronde con Matteo, marito esemplare sulla cinquantina, ma con il vizio della trasgressione. A fare capolino l’ambiente familiare, parenti cioè che alle volte non accettano, altre comprendono. «Non bisogna avere inutili vergogne, la vita va vissuta», si rende conto zia Gilda, nel momento in cui si accorge di avere perso l’amore della sua vita, una privazione obbligata e irrimediabile che Benedetto, al contrario, riesce a scongiurare recuperando in extremis l’uomo dei suo sogni. Infine c’è Nunziatina, il trans dal passato difficile e burrascoso, soprattutto con l’istituzione ecclesiastica; persona tuttavia buona che aiuta il ginecologo a trovare il coraggio di affermare sé stesso. Il romanzo, in conclusione, sembra quasi un pirandelliano gioco di maschere verso la consapevolezza, la maturazione interiore, il riconoscimento del proprio sé fuori dalla zona d’ombra. L’autore, questa volta, si è liberato da schemi narrativi fissi e dal pregiudizio, oltrepassando la logica editoriale. «Ho scelto il personaggio di Benedetto perché ho paura di diventare come lui: avere una bella casa, una bella macchina, una vita perfetta ma solo in apparenza. Ciò che importa è la durezza del proprio del cuore, quanto siamo ancora in grado di aprirci alla vita e agli altri».
Alberto Molino e Monica Ardizzone
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Fondatore di Voci di Città, ex direttore responsabile dello stesso, ora cura la rubrica di tecnologia di NewSicilia, ha lavorato al Quotidiano di Sicilia, ha collaborato con Sicilia Journal, ha pubblicato un romanzo e un racconto, ha 26 anni ed è laureato in Scienze della Comunicazione. Quando ne aveva 18 ha vinto un premio nazionale per avere diretto il migliore giornalino scolastico del Paese. Definito da alcuni fascista e da altri comunista, il suo vero orientamento politico non è mai stato svelato, ma una cosa è certa: Molino non lo ferma nessuno, tranne forse la sua ragazza.