Perché tanta inciviltà? È una domanda che ci poniamo spesso – o meglio, che si pone la parte sana dell’umanità. Toccherebbe pure specificare da chi sia composta questa “parte sana” della società che può arrogarsi a buon titolo il diritto di giudicare il contesto in cui vive e sentirsi inadatta alla cultura dominante.
Lo scrupolo. Già, lo scrupolo suscitato da una coscienza civica in grado di innestare in ciascuno quella sana voglia di rispettare le leggi scritte e le buone consuetudini tra gli uomini. Non fregare il prossimo, non parcheggiare in doppia fila o sul marciapiede, avere rispetto della libertà altrui, sentirsi in quota parte proprietari della res publica, degli alberi, delle strade, dei monumenti, delle spiagge e dei bagni pubblici. Ma la coscienza civica non spunta dal terreno come un albero di gelsi, piuttosto nasce da una costante tensione culturale che porta nel tempo le generazioni ad assorbire input che, attraverso la naturale evoluzione, si sostanziano in una nuova cultura, parte dell’individuo stesso. È così per il bene e per il male.
Se è stato così per la mafia allora potrà esserlo anche per una nuova cultura siciliana. Il primo errore da evitare è trattare l’argomento con un tono di vuota retorica. Troppe volte, soprattutto dopo le stragi di mafia del biennio 1992-1993, si è parlato della nascita di una presa di coscienza popolare, di nuova cultura civica, addirittura di una cultura antimafia. Allo sdegno e alla dura reazione popolare suscitati dalle stragi di mafia e da Tangentopoli è seguito un terremoto che paradossalmente sembra aver messo le cose esattamente come stavano prima o quasi. Sembra che le coscienze si siano nuovamente sopite, distratte, come se la mafia non esistesse più, perché le rivoltelle e i mitra non vanno più a passeggio come nella Catania e nella Palermo degli anni ‘80. Dopo quegli eventi ci siamo ritrovati spesso ad applaudire eventi riflessi di una ritrovata cultura della legalità.
Vent’anni dopo ci chiediamo: se tutto ciò è avvenuto, come è avvenuto? È nata davvero una cultura antimafia o si è insinuata in molti una cultura della coscienza pulita, della giustificazione, della buona passerella, insomma di quella che certe volte è chiamata con una vena di disprezzo “l’antimafia dei riflettori”? Vent’anni dopo il tentato colpo di Stato che di fatto ha segnato l’inizio della Seconda repubblica, dobbiamo guardarci attorno e capire a che punto siamo arrivati in questo lungo percorso che dovrebbe portarci ad una nuova identità siciliana. Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito a tante marce della legalità, passeggiate antimafia, fiaccolate per la verità e “burraco” della solidarietà.
A cosa sono serviti? Qualcosa sicuramente sarà rimasto nella mente di qualcuno. Di quale acqua dovrebbe dissetarsi la mafia se ogni cittadino rispettasse le regole aiutato da Istituzioni sensibili alle necessità dei singoli e pronte a dare risposte certe nel porre i giusti limiti alla condotta dei cittadini? Anche chi getta la spazzatura per strada o chi parcheggia l’auto sul marciapiede, anche se non ne è consapevole, sta aggiungendo il suo tassello al consolidamento della anticultura mafiosa. Abbruttire il territorio in cui si vive, schernire o produrre disagio nella gente che rispetta le regole, invitare gli altri a fare lo stesso, buttare una carta a terra con il pensiero che poi tanto qualcuno la raccoglierà. La chiamiamo inciviltà, ma per grado di parentela potremmo definirla la madre della mafia. Allora risulta evidente che non è con una singola iniziativa, seppur lodevole, che questa subcultura può regredire.
Come si può combattere la subcultura dell’inciviltà? Un ruolo importante dovrebbe essere svolto dalla scuola. La scuola è infatti l’unica istituzione a contatto con i giovani almeno per metà della loro giornata. Ma sarebbe comunque un altro errore dare soltanto alla scuola oneri e responsabilità. Bisogna quindi sviluppare un dialogo permanente con le scuole; capirne le ragioni ed ascoltarne i suggerimenti. Dare ai dirigenti scolastici e al corpo docenti lo stimolo e l’entusiasmo per sviluppare percorsi didattici più efficaci durante le ore dedicate all’educazione civica. Per le scuole è possibile, grazie anche alla sensibilità dei dirigenti scolastici, prestare attenzione ad alcune tematiche dell’educazione civica particolarmente vicine alla società.
Infatti a chiedere una reale inversione di tendenza in tema di inciviltà non è il giudizio del singolo, ma la quotidiana constatazione che la cultura dominante, almeno dalle nostre parti, fa troppo spesso rima con degrado, insicurezza e criminalità. L’ignoranza si confonde nella Storia e ne sbiadisce contenuti e contorni. Senza cultura sporcare ha un senso, rompere ha un senso, dire che la propria città è orribile, perché non c’è niente, trova un senso. Così la cultura dominante suggerisce a ciascuno che non ha senso rispettare la città e le sue leggi, perché casa propria inizia e termina con l’uscio di casa. Ora sappiamo che tutto ciò non avviene per caso e che una sottile linea lega e giustifica l’esistenza dei fatti criminali dal più grande fino al più piccolo.
La volontaria perdita della cultura e dell’identità storica negli anni ha lasciato campo libero all’ignoranza “da provinciale” che permea la nostra società a cominciare proprio dalle fasce borghesi. Così si è perso il rapporto tra società e territorio; si è rinnegato il rapporto con la campagna; si è imparato a considerare l’ambiente circostante come un luogo lontano ed ostile, dove niente può dare ricchezza e giovamento. Così ci si ritrova a vivere una città dove i beni storici appaiono sempre più come corpi estranei alla nuova civiltà dei “provinciali”.
Enrico Riccardo Montone
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articoli di proprietà di Voci di Città, rilasciati sotto licenza Creative Commons.
Sei libero di ridistribuirli e riprodurli, citando la fonte.
Ti piacerebbe entrare nella redazione di Voci di Città? Hai sempre coltivato il desiderio di scrivere articoli e cimentarti nel mondo dell’informazione? Allora stai leggendo il giornale giusto. Invia un articolo di prova, a tema libero, all’indirizzo e-mail entrainvdc@vocidicitta.it. L’elaborato verrà letto, corretto ed eventualmente pubblicato. In seguito, ti spiegheremo come iscriverti alla nostra associazione culturale per diventare un membro della redazione.